Nagorno Karabakh: sul filo dell’equilibrio instabile

Pubblicato il 27 Giugno 2013 alle 14:27 Autore: Ilenia Buioni

È emblematico come finora, nessun paese – e nemmeno Yerevan- abbia riconosciuto l’indipendenza della Repubblica del Nagorno.  Si accennava poco prima all’abilità negoziatrice dell’Osce, che  ha talvolta prestato il fianco a parecchie oscurità. Non ultima la dichiarazione congiunta  rilasciata dai Presidenti di Usa, Francia e Russia i quali, in virtù di un’impalpabile scrupolosità,  insistono per un assetto di integrazione e stabilità. Un punto di arrivo che il Nagorno-Karabakh potrebbe raggiungere solo se i due paesi subordinassero gli interessi di parte al rispetto dei principi di Helsinki e alle reali esigenze della popolazione.

E invece tra Yerevan e Baku si estendono spazi indecifrabili; non c’è niente di nuovo nell’affermare che la memoria politica e quella collettiva sono le più ostiche da scardinare.

Si è detto dell’incapacità dell’Osce di smaltire un conflitto che per anni è stato esodato dalla sfera politica. Allora, si rifletta sul fatto che alla denunciata inconsistenza  delle trattative di pace avviate dal Gruppo di Minsk, fa da contraltare la finezza con cui l’Alto Rappresentante dell’Ue per gli affari esteri ha elogiato, qualche tempo fa, l’impegno europeo. Proprio ora che la diplomazia è schernita, perché prigioniera del suo stesso labirinto, risuona in termini più che attuali il messaggio della Baronessa Ashton, convinta che il dialogo nella regione del Nagorno sia un obiettivo che troverà realmente attuazione quando la comunità internazionale nella sua complessità e l’Unione Europea saranno realmente pronte a collaborare.

 

Vedi alla voce: Autodeterminazione…

Ora, lasciandosi dietro le spalle le battute d’arresto che investono il Gruppo di Minsk, la questione politica dovrebbe essere affrontata sotto un’angolazione umana e antropologica, perché  il popolo del Nagorno-Karabakh ha il diritto di vivere sulla propria terra e di conservare la propria identità culturale. È innegabile come il  conflitto armeno-azero sia paradigmatico delle difficoltà sottese all’attuazione dell’autodeterminazione, come anche della strumentalizzazione del principio dell’integrità del territorio.

Ciò che necessita di una completa revisione è il modo di concepire l’ordine internazionale, che dovrebbe interpretarsi prioritariamente in chiave umanitaria, perché solo così l’eguaglianza dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione potrebbero assurgere alla dignità di interessi supremi, al di sopra di qualsiasi rivendicazione espansionistica.

Non è sufficiente operare una conversione della realtà sulla scorta degli intenti politici e quasi sempre unidirezionali: la domanda di democrazia potrà essere soddisfatta solo quando qualsiasi popolo avrà il diritto di accedere all’indipendenza interna ed esterna. È chiaro che si tratta di una concezione per il momento più teorica che pratica delle relazioni internazionali, che continuano a difendere gelosamente le proprie prerogative, sebbene dietro lo scudo della sovranità territoriale. Tuttavia, l’esperienza insegna che la violenza anche solo minacciata o il congelamento di un conflitto prima o poi soccomberanno sotto il proprio peso.

È evidente la complessità della questione del Nagorno-Karabakh, per cui profumerebbe di pura utopia l’idea che il presente sia radicalmente dissociato dal passato.  Ma non sarebbe poi così illusorio ipotizzare un dialogo tra le fazioni belligeranti supportato  da un adeguato sistema di garanzie, che contribuiscano ad un rinnovato ordine internazionale, da imperniarsi sul disarmo e su una politica territoriale tendente alla sicurezza e all’ integrazione. In particolare, non dovrebbero sottovalutarsi gli accordi tendenti a risolvere l’incertezza di sfollati e rifugiati e a favorire la cooperazione tra autorità giudiziarie nella lotta alla criminalità di confine.

 

 

Luttine Ilenia Buioni