La neo-finanza creativa del commissario Tremonti

Pubblicato il 1 Giugno 2010 alle 17:25 Autore: Livio Ricciardelli
La neo-finanza creativa del commissario Tremonti

Nella formazione di ogni persona vi sono eventi, più o meno importanti, che rappresentano un vero spartiacque per l’esistenza umana o che comunque assumono una carica simbolica in grado di mutare pienamente le azioni e i pensieri degli uomini.

Questo avviene anche nelle formazioni politiche che traggono, proprio da precisi ed istantanei eventi, nuova linfa per alimentare un nostro personale corso d’apprendimento sociale e politico.

Fu così che in una fase che personalmente reputo pienamente adolescenziale, contraddistinta da tutto ciò che si può immaginare, questa mia formazione politica non fu solo all’insegna di “Una storia italiana”, ma anche dell’allora braccio destro e “genietto” del Cavalier Berlusconi: Giulio Tremonti. Con risultati che potete ben vedere.

Come non ricordare quella bellissima sparata televisiva in cui il commercialista di Sondrio, pensando di scatenare l’ilarità delle masse, pronunciò una frase che pressappoco suonava così: “Se sei un disoccupato e non hai lavoro (e certo: solitamente i disoccupati non hanno lavoro! Nda) forse preferisci andare a lavorare piuttosto che stare tutto il giorno a casa”.

Siccome si trattava di una calda giornata del giugno 2002, in cui effettivamente non si faceva molto a causa della fine dell’anno scolastico, la cosa rendeva bene l’idea. Ecco: questo è stato il mio primo approccio alla politica economica.

Fatto sta’ che gli anni passano e ci si accorge che nonostante il centrodestra si schieri contro la casta e contro i politici di professione, le compagini berlusconiane sono, nei dicasteri chiave, sempre appannaggio dei soliti uomini. E Tremonti e sempre stato il loro capofila. Forse perché studia da leader ed apprende dai suoi seminari pechinesi (e dalle esperienze commissariali bolognesi) che è meglio avere un commissario al comando. Altrimenti si può ordinare al cavallo solo “se andare a destra o a sinistra”.

Studierà dunque da leder il professor Tremonti senza scadere nell’orribile politichese. Ma senza dubbio questo cavallo è bravo a farlo districare a destra e a sinistra!

Partito socialista (le citazioni nei confronti degli ex capogruppo Pd sono puramente casuali) dopo qualche borioso articolo scritto per “Il Manifesto”, Tremonti ora rappresenta uno dei principali leader del centrodestra. Nel mezzo l’esperienza di Alleanza Democratica, compagine che gli consentì di “zompare” nel Polo subito dopo le politiche del 1994.

A proposito della vecchia politica fatta di sole chiacchiere.

Fatto sta’ che, esperienze politiche a parte, la stessa condotta e linea economica di Tremonti nel corso degli anni è stata fortemente contrassegnata da mutamenti, retromarce improvvisate e imboscate sorprendenti.

Questa volta non si confà vedere l’economia come qualcosa che cambia direzione come la razza equina, ma senza dubbio anch’essa, nell’universo tremontiano, ne ha viste di cotte e di crude.

Infatti si partì con l’allora “finanza creativa”, ed era proprio il periodo citato prima. Anche allora si era alla vigilia dei mondiali di calcio e mentre il Cavaliere si divertiva con battutine a Palazzo Chigi con gli azzurri (tra le risate di Gigi Di Biagio e la forte contrarietà di Montella) Tremonti si divertiva a via XX° settembre e sulle reti Rai ad illustrare la sua ottimistica visione delle cose e la sua nuova dottrina della finanza creativa. Senza un briciolo di liberalizzazioni, ovviamente. Quelle sono cose da liberali.

Le conseguenze di questa linea erano chiare: tra una batosta elettorale e l’altra qualcuno si accorse (parafrasando Reagan) che “abbiamo cercato per molto tempo di risolvere il problema tramite Tremonti…finché non ci siamo accorti che proprio Tremonti era il problema!”. E non solo appariva un problema, ma anche una persona che non ci capiva “nulla di politica”. Una torbida notte del luglio 2004 Tremonti lasciò il ministero mentre, qualche giorno dopo, il vecchio e caro “Manifesto” intitolava, alla nomina del suo successore Siniscalco, col preveggente titolo “Un ministro per l’estate”.

Ma la poltrona di Quintino Sella è stata sempre troppo comoda agli occhi del commercialista prestato alla politica, e il suo ritorno avvenne in piena bufera Fazio nel settembre 2005.

Cambiare tutto per non cambiare niente.

Alla ripresa della lunga epopea berlusconiana, dopo le politiche del 2008, Tremonti viene confermato per l’ennesima volta ministro del super dicastero che accorpava bilancio, tesoro e finanze.

Nella foto di giuramento del Berlusconi IV lo vediamo serio tra ragazzetti (suoi neo-colleghi) simili a quelli delle compiante gite scolastiche. Appariva serio perché si sentiva leader. Ed esperto.

Così esperto che, da buon colbertista, col cavolo che era disposto a vendere l’Alitalia al partner più economicamente quotato (Air France) prediligendo una cordata italica. A spese del contribuente, ovviamente.

La grande lungimiranza dell’autore di “Rischi fatali” non aveva previsto la crisi economica finanziaria del 2008 e quella dei debiti sovrani del 2010. Eppure adesso servirebbero tanto quei soldi sfilati dalle tasche dei contribuenti per via della Magliana!

Dopo il socialista, il liberista anti-europeo, il colbertista e lo statalista, quale sarà la nuova reincarnazione di “zio Giulio”.

Il neo-keynesismo è imposto dalle norme del Partito Popolare Europeo (visti i tempi). E, sempre alla luce dei tristi fatti economici, è bene fingersi anche un po’ “prodiani” nell’attenzione che si presta al risanamento di conti pubblici con la manovra correttiva da 24,9 miliardi di euro.

Con una sola differenza rispetto al Professore: lui agiva contro lo strutturale debito pubblico nostrano in periodo di apparente stabilità. Oggi invece siamo in piena tempesta monetaria. E le stesse fondamenta dell’euro (tanto odiato a Sondrio e dintorni) hanno rischio grosso. Qui servirebbe, oltre all’apprezzabile taglio della spesa pubblica, un forte stimolo alla crescita.

Perché non provare con qualche riforma strutturale, Giulio?

Ah, vero, dimenticavo: ne devi ancora parlare col capo del governo (non gli hai ancora illustrato la manovra).

Ma soprattutto ti rattrista l’idea di dover fare, anche in questo caso, marcia indietro come sulle provincie e sugli enti culturali.

Il “Gattopardismo” è una malattia puramente italiana. Non sicula, ma di tutta l’Italia. Anche nelle sue parti che confinano con la Svizzera.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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