14 dicembre: vincitori e vinti

Pubblicato il 20 Dicembre 2010 alle 00:46 Autore: Livio Ricciardelli
14 dicembre: vincitori e vinti

Oramai è una forma di sport nazionale: ci si scervella sui differenti e possibili sbocchi che l’attuale situazione politica nazionale può avere a seguito del voto di fiducia incassato il 14 dicembre da parte del governo per 314 voti a 311.

Sono considerazioni che perlopiù si facevano anche prima di quel fatidico martedì, ma la situazione ha assunto connotati ben precisi, per forza di cose, dopo l’avvenimento in esame. E quindi emerge ancora più chiaramente sia il futuro del quarto governo Berlusconi, sia chi sono i vincitori e i vinti della gran partita del bazar Montecitorio.

Per prima cosa dobbiamo partire dal dato più immediato: Berlusconi ha vinto una partita politica. Ma una partita politica circoscritta, a tratti residuale: una fiducia ottenuta per pochi voti anche tramite due “abboccamenti” tra le file finiane (Siliquini e Polidori) e il non voto dell’ex plenipotenziario di Fli Silvano Moffa (a questo proposito va sottolineata la campagna lanciata su Facebook dai redivivi “Giovani per Moffa”, che ha ottenuto lo strategico risultato di non far votare l’ex presidente della provincia di Roma contro la mozione di sfiducia al governo).

Si tratta di una vittoria nel derby Berlusconi-Fini con un grande smacco per il secondo. Tanto che, e ciò sarà la base delle nostre successive riflessioni sul Terzo Polo, Fini e il suo partito risentono attualmente di un vistoso calo di credibilità politica.

È ovvio in ogni caso che la vittoria di Berlusconi su Fini non può essere considerata una vittoria campale per l’esecutivo: Berlusconi non detiene la maggioranza assoluta della Camera (316) e si trova in una situazione parlamentare a dir poco “prodiana”. Con un’aggravante: possedere una maggioranza risicata alla Camera è molto peggio che avere una maggioranza risicata al Senato. Non è un caso che qualche acuto osservatore abbia già rilevato come l’attuale situazione ritragga uno scenario da “vendetta del Professore”.

Tra l’altro per il Cavaliere la situazione parlamentare si complica: oltre all’aggravante della maggioranza risicata alla Camera sussiste tuttora il dato politico che vede storicamente il gruppo parlamentare del Pdl alla Camera molto meno efficiente di quello di Palazzo Madama. Non si tratta di opinabili punti di vista o di astrusi calcoli da gazzetta parlamentare, ma di una considerazione politica di cui è al corrente lo stesso Silvio Berlusconi. Potrà apparire perverso, potrà apparire singolare: ma Maurizio Gasparri è molto più bravo del collega Fabrizio Cicchitto!

Detto questo Berlusconi ora punta ad allargamento dei numeri parlamentari e per farlo può ideare una sorta di “gruppo dei pontieri” (progetto delegato al buon Nucara, fallito miseramente nel settembre di quest’anno) oppure può pescare singoli parlamentari da accasare nel Pdl.

Per questo shopping il principale referente non può che essere Futuro e Libertà. Proprio perché uscita malissimo – per non dire “con le ossa rotte” -dal voto parlamentare (non ci si può lamentare di Di Pietro se nemmeno Fini riesce a controllare i suoi!), Futuro e Libertà e tutta l’auto-proclamata area di responsabilità nazionale ha accelerato il processo di amalgama con le altre formazioni politiche centriste desiderose di dar vita al “Polo della Nazione”.

Come ha fatto giustamente osservare Daniele Capezzone (la politica italiana ci riserva spesso sorprese: dopo Gasparri, si elogia Capezzone) questa forma di accelerazione è in realtà un tentativo di celare un malessere post 14 dicembre. E ciò è provato dal fatto che su questo scatto in avanti sulla via del Terzo Polo sono emerse già forti perplessità e qualche incoerenza. Riferita in primis al voto parlamentare che presumibilmente la prossima settimana vedrà il “grande centro” andare in ordine sparso sul ddl Gelmini.

Non si sa fino a dove arriverà questa importante operazione politica. Ma bisogna sempre ricordare che le operazione neo-centrista o terzo-poliste del nostro paese non hanno mai avuto un grande seguito. Basti pensare al Patto Segni del 1994 o alla Democrazia Europea del trio Andreotti-D’Antonio-Zecchino (con la benedizione di Pippo Baudo) nel 2001.

Fini questo dovrebbe ricordarselo: già nel 1999 quel tanto autorevole cognome (Segni) non gli portò affatto bene e di fatto gli precluse la possibilità di andare già allora oltre Berlusconi.

Nel centrosinistra invece, mentre Di Pietro registra un calo di credibilità pari a quello di Fini, il Pd, come perno di un sistema bipolare, è curiosamente la forza politica (assieme a Lega e Pdl) che rischia di perdere di meno da questa situazione: presenza massiccia del 206 deputati e voto compatto anche contro qualche sirena berlusconiana indirizzata ai popolari.

Considerando il rischio che l’allargamento del centrodestra non avvenga e considerando il mal di pancia della Lega, in casa democratica di discute animatamente di prossime alleanze. Già. Ma questa è un’altra storia.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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