E non ci lasceremo mai…

Pubblicato il 3 Gennaio 2011 alle 23:11 Autore: Livio Ricciardelli
E non ci lasceremo mai…

È tempo di festa. Ci si riposa e si cerca di essere tutti più buoni. Si sta in famiglia, e di ciò risente anche il dibattito politico.

Finiti i bei tempi delle arringhe natalizie del super-commissario del Pd abruzzese Massimo Brutti (e dei frammenti di panettone sui colorati pullover di Enrico Boselli), la dialettica politica si concentra sull’evergreen “elezioni si, elezioni no”. Con Bossi e Berlusconi nella parte, a giorni alterni, dell’ottimista e del disfattista.

Del resto, si sa, il Parlamento è chiuso e di ciò risente anche la “Settimana Politica”. Ma, come dice il nostro Capo dello Stato, “Bisogna cogliere gli aspetti positivi delle vicende negative”. E ciò ci consentirà di parlare una volta tanto di una storia politica. Una storia che va al di sopra e in direzione ostinatamente contraria alla mera cronaca.

Come spesso accade nei più importanti romanzi del secolo scorso (basti pensare alla “Cronaca di una morte annunciata” di Gabriel Garcìa Màrquez) è molto importante qualche volta iniziare dalla fine: la nostra scena si sposterà dunque al 15 dicembre del 2010, il giorno dopo il favorevole voto di fiducia del Parlamento al governo Berlusconi.

I leader politici più colpiti dalla vittoria personale (ma non politica) del Cavaliere sono Antonio Di Pietro e Gianfranco Fini. Il primo è stato protagonista, e con lui il suo partito, di una brutta vicenda che ha visto due suoi deputati (Razzi e Scilipoti) cambiare schieramento. Il secondo, che puntava molto sulla sconfitta di Berlusconi, ha perso la sua sfida personale col Cavaliere. In malo modo. Tanto che i più attenti osservatori hanno fatto notare come non ce la si possa prendere con Di Pietro per non essere riuscito a “tenere a bada” i suoi, quando non ci è riuscito lo stesso Fini, che nel bene e nel male fa politica da quanto aveva 18 anni o giù di lui.

Per ridare subito slancio a Fini e allo schieramento del “Terzo Polo” – da lui avviato assieme a Casini, Rutelli e Lombardo – occorreva subito uno slancio per coprire dal punto di vista comunicativo la débacle del giorno prima. Ecco dunque la convocazione di una riunione presso l’indimenticato Hotel Minerva(*) insieme ai più autorevoli (?) esponenti di Fli, Udc, Api, Mpa, Pri, Pli e LiberalDemocratici.

Una grande tavolata democratica, desiderosa solo di realizzare e di compiere ciò che Mariotto Segni nel 1994 aveva clamorosamente fallito. Ed ecco allora, seduti l’no accanto all’altro, i vari Fini, Casini e Rutelli. Ma anche Guzzanti, Adornato, Carra, Tanoni, Pistorio (quello che si chiudeva in bagno durante le sedute rischiose al Senato sotto il secondo governo Prodi) e umanità varia.

Quella stessa sera un mio caro amico, imbrattando docilmente la mia bacheca Facebook, mi fa notare un aspetto che effettivamente non avevo considerato: dopo anni e anni Giorgio La Malfa e Luciana Sbarbati siedono allo stesso tavolo. Che grande illuminazione!

La notizia può apparire scontata a molti, ma in realtà si tratta di un piccolo evento epocale della nostra storia recente. Soprattutto se si utilizzano le categorie politiche della “cara, vecchia Prima Repubblica”.

Nel 2001, al congresso del Partito Repubblicano Italiano a Bari, si consumò infatti per la prima volta una diaspora di tipo repubblicano. Dopo quella democristiana (Ccd-Ppi, che poi registrò la fuoriuscita del Cdu di Buttiglione), dopo quella socialista (i socialisti riformisti di Manca, i laburisti di Valdo Spini e lo SDI di Boselli, per non parlare dei tanti ex socialisti in Forza Italia e dei seguaci di Benvenuto finiti nei Ds) e dopo quelle, per forza di cose, comunista e missina, ecco la diaspora repubblicana! L’aspettavamo da un pezzo!

Il leader storico Giorgio La Malfa (figlio dell’altrettanto leader, altrettanto storico, altrettanto La Malfa, Ugo) dirotta il suo partito verso la Casa delle Libertà, considerando logorata l’esperienza dell’Ulivo. Una parte del partito si schiera contro e ne vien fuori una scissione. Prende vita l’epico Movimento Repubblicano Europeo guidato dall’ex dirigente scolastica anconetana Luciana Sbarbati, che sosteneva l’alleanza col centrosinistra.

È l’inizio di una lunga storia parallela. Roba che Dumas padre, al confronto, scriveva fiabe per fanciulli: La Malfa e il Pri eleggono nell’ottobre 2001 Francesco Nucara segretario. Nel 2004 danno vita al Partito della Bellezza con Vittorio Sgarbi, all’insegna del noto motto “Politica estera si si si! Politica economica no no no!” Nel 2005, con la nascita del dimenticato Berlusconi Ter, Giorgio realizza il sogno della sua esistenza politica: diventa ministro delle Politiche comunitarie. Ricordiamo tutti, nelle foto di allora, le smorfie di Barroso.

Nel 2006 litiga col suo partito e si dimette dalla presidenza del Pri in polemica con la posizione di Nucara sul referendum riguardante la devolution. Nel 2008 nelle liste del Pdl entrano gli esponenti del Pri, che però non si scioglie nel nuovo partito. Saranno eletti Nucara e La Malfa alla Camera, ma il primo fonderà poi un gruppo assieme a “Ciccio” Pionati , mentre il secondo lo ritroveremo desideroso di seguire le sirene terzopoliste.

Dall’altra parte, la “leonessa di Ancona” nel 2004 sostiene con forza il progetto di “Uniti nell’Ulivo” dopo anni in cui, casualmente sempre malata, mandava la tenace avvocatessa Milena Mosci a presenziare alle più disparate manifestazioni uliviste: viene eletta parlamentare europea per la circoscrizione centro e fa proseliti in parlamento tramite l’ex Udeur (e direttrice del “Campanile!”) Carla Mazzucca e l’ex forzista Ciro Falanga (epiche le sue interrogazioni parlamentari sul liceo Visconti).

Nel 2006 pare aspiri al ministero dell’istruzione. Non è presa in considerazione. Entra nondimeno nel Pd, sostenendo alle primarie fondative Enrico Letta con tutta la pattuglia azionista, e diviene senatrice insieme al presidente del Mre Adriano Musi. Ma nel 2010 lascia il partito per aderire all’Udc. Verso il Partito della Nazione, ovviamente.

Ora, i due storici litiganti si ritrovano allo stesso tavolo. Si sorridono. Il tempo degli insulti è finito ed è rinata la concordia tra i due. Che dire? Sotto sotto, con questo litigio, non finisce anche una fase della nostra vita?

 

(*) Che momenti! Gli uffici politici dell’Udc e Lorenzo Cesa che, eletto segretario, trovava un compromesso con l’oltranzista catanzarese Tassone e la placida Erminia Mazzoni, definita da Casini “miss Montecitorio”!

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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