Se l’Inps paga pensioni da 91mila euro…

Pubblicato il 8 Agosto 2013 alle 11:49 Autore: Gabriele Maestri
istat

Per la Bergamini, la colpa sarebbe del vecchio sistema retributivo, cancellato dalla riforma Dini nel 1995 ma solo per gli anni e le pensioni a venire. Chi ha maturato la pensione sotto il vecchio regime, l’ha conservata tale quale e ora la riceve dall’Inps.

“Il tema coinvolge una questione di equità e di coesione sociale non più trascurabile dalle istituzioni, specialmente in un momento di grave crisi economica e di pesanti sacrifici per tutti” nota la parlamentare del Pdl, che però si affretta a precisare che i beneficiari delle “pensioni d’oro” non vanno colpevolizzati, perché “le hanno maturate secondo le regole vigenti”.

Il ministro del Welfare Enrico Giovannini

Il ministro del Welfare Enrico Giovannini

Già, perché il problema sta proprio lì. Come si risolve, la questione di equità e coesione sociale, se non si possono toccare le pensioni decisamente ricche, ma già maturate? La faccenda è delicatissima, lo riconosce per primo il ministro Enrico Giovannini: la sua lunga permanenza alla guida dell’Istat certamente gli fa avere ben presente l’enorme divario tra le poche (ma sempre troppe) pensioni “d’oro” e la massa di pensioni talmente basse da essere indecorose. Sa anche, però, che i tentativi di agire anche sui vitalizi già maturati finora sono andati tutti male.

E’ stata la stessa Corte costituzionale, in un fascio di sentenze, a segnalare con chiarezza che i diritti acquisiti, pensioni maturate comprese, sono intangibili (un discorso analogo valeva pure per le “baby pensioni”). L’ultima sentenza in materia, depositata a giugno, ha cancellato il contributo di solidarietà per chi percepiva una pensione di oltre 90mila euro lordi perché discriminava i pensionati rispetto a tutti gli altri cittadini (lo stesso era capitato, a ottobre dell’anno scorso con la norma che imponeva un prelievo simile sugli stipendi dei dipendenti pubblici).

Quelle norme, dunque, erano scritte male: avessero riguardato tutti i cittadini (dipendenti pubblici, privati, liberi professionisti, pensionati), probabilmente la Consulta le avrebbe salvate. La Corte, infatti, ha riconosciuto nella sentenza dello scorso ottobre che “L’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile senza dubbio di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali, nel difficile compito di contemperare il soddisfacimento degli interessi finanziari e di garantire i servizi e la protezione di cui tutti cittadini necessitano”. Sembra quasi un invito al ministro Giovannini: prelevi pure, ma non lasci fuori nessuno. Ce la farà il governo Letta?

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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