Egitto tra astuti subdoli e ingenui

Pubblicato il 19 Agosto 2013 alle 10:47 Autore: Raffaele Masto

In Egitto la drammatica crisi è la dimostrazione che, nei paesi arabi, non c’è possibilità di sintesi, di mediazione e di compromesso tra i fautori di forme statali che aprano alle modalità di democrazia di tipo occidentale (elezioni, rappresentanza, verifica, divisione dei poteri), e chi invece vuole governi confessionali, nei quali i leader religiosi siano al contempo leader politici.

La crisi egiziana in questi giorni racconta l’impossibilità materiale di questo compromesso. E racconta anche un’altra cosa: che di fronte ad un conflitto insanabile la ragion di stato viene impersonata da settori della società che detengono la forza fisica, la forza delle armi, cioè l’esercito, le forze di sicurezza, i generali. E questi ultimi vengono immediatamente rafforzati dal fatto che di solito ottengono un riconoscimento dall’esterno, cioè da quei paesi che, al di là delle dichiarazioni di rito o delle condanne enfatiche e generiche della violenza, hanno bisogno di fare riferimento a qualcuno di attendibile per il rispetto di contratti, commesse, impegni internazionali o di una politica estera che non leda i loro interessi.

In questi anni in Egitto (e in molti paesi arabi) quei settori che non riescono a trovare un compromesso sono cresciuti, si sono rafforzati e rappresentano pezzi di società sempre più importanti che non vogliono più aspettare, pensano sia arrivato il momento di costruire una società intorno ai loro bisogni.

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Ci sono, da una parte, giovani che vogliono vivere all’europea, che vogliono libertà di costumi e un mercato libero all’interno del quale essere competitivi e mettersi in gioco. Dall’altra ci sono fette di società tradizionale, seppure urbanizzata, che hanno una visione religiosa dell’economia e della politica.

I primi non hanno una rappresentanza, la rivoluzione contro Mubarak della quale sono stati protagonisti non li ha forniti di uno strumento politico capace di adattarsi a situazioni diverse dalla contestazione pura e semplice.

E la Rete e i Social Network, seppure strumenti formidabili, sono neutri. E’ ingenuo pensare che possano essere una scorciatoia della politica.

I secondi invece una rappresentanza ce l’hanno, è l’Organizzazione della Fratellanza Musulmana. Non un partito, ma una sorta di ONG che ha sempre fatto proselitismo con la carità e la beneficenza. Una sorta di stato nello stato che ai tempi di Mubarak era illegale ma tollerato, almeno quando si sostituiva al welfare anche minimo che avrebbe dovuto fornire il governo.

Quelle attività hanno prodotto consenso a mani basse, sono state una chance per giovani che non ne avrebbero avute in considerazione di una crisi economica mondiale che picchia duro anche sui paesi arabi che non fanno parte del ricchissimo clan dei paesi del Golfo. Così la crisi egiziana è diventata un bubbone intrattabile.

Impossibile stare con i militari che hanno mostrato cosa sono: una élite di privilegiati, corrotti e spietati disposti a sparare sulla folla pur di non perdere potere e influenza.

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L'autore: Raffaele Masto

Giornalista di Radio Popolare-Popolare Network. E' stato inviato in Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa dove ha seguito le crisi politiche e i conflitti degli ultimi 25 anni. Per Sperling e Kupfer ha scritto "In Africa", "L'Africa del Tesoro". Sempre per Sperling e Kupfer ha scritto "Io Safiya" la storia di una donna nigeriana condannata alla lapidazione per adulterio. Questo libro è stato tradotto in sedici paesi. L'ultimo suo libro è uscito per per Mondadori: "Buongiorno Africa" (2011). E' inoltre autore del blog Buongiornoafrica.it
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