Può un tifoso dei Red Sox (Boston) fare il sindaco di New York?
La scelta di trattare la confessione di una fede sportiva come uno scoop giornalistico risponde indubbiamente a stimoli economici, ma il peso dato ad una particolare notizia non fa che alimentarne la percezione di importanza da parte del pubblico, alimentando un circolo vizioso senza controllo.
Per una fetta economicamente consistente di pubblico la notizia della fede sportiva del candidato è una notizia importante, allora il New York Times la tratta alla stregua di una notizia da prima pagina, cosa che conferma l’importanza della notizia a chi già la riteneva importante e ne fa risaltare l’importanza a chi non la considerava tale, rendendo ancora più probabile che una notizia simile in futuro venga trattata nella stessa maniera.
Peggio ancora, naturalmente, è la scelta di tentare di cavalcare la notizia per scopi politici: dare maggior risalto alla notizia su un media repubblicano perché si sta parlando di un candidato democratico significa fare leva sulle pulsioni irrazionali del cittadino per il conseguimento di un obiettivo politico, un tentativo di manipolazione delle masse tra l’altro di comprovata efficacia.
Viene quindi meno la funzione sociale e per certi versi educativa dei media, che si mostrano semplici organi di propaganda di poteri economici o politici, che mostrano le notizie o nella forma che sanno essere quella preferita dal proprio pubblico, oppure nella forma in cui vogliono che il proprio pubblico le recepisca, rinunciando non solo a pretese di obiettività e senso della misura, ma anche all’idea farsi protagonisti di un’evoluzione culturale e sociale del cittadino che non risponda alla legge del mercato o a interessi di una singola parte politica.
Colpisce infine come il tema identitario, da sempre uno dei cavalli di battaglia delle destre di qualsiasi paese, sia ormai diventato un problema anche a sinistra – con le dovute differenze tra la sinistra americana e quelle europee: che persino un think tank di impronta liberale arrivi a chiedersi se sia opportuno che New York abbia un sindaco tifoso dei Red Sox in maniera avulsa dalle sue qualità amministrative, o addirittura che consideri la fede sportiva di un candidato come un parametri rilevante dal punto di vista politico ed elettorale, è un evidente ripiegamento dalle logiche di apertura e inclusione da sempre nelle corde di chi si professa liberale. O almeno, liberale fino al fischio dei primo inning.