The Stock of NBA

Pubblicato il 12 Settembre 2013 alle 09:37 Autore: Redazione

A proposito di carriera. Due o tre cose andrebbero dette anche su questo punto. Perché un giocatore del genere, consigliato da un buon agente, non potrebbe che essere conteso e avere ai propri piedi  tutte le migliori franchigie della lega. Giusto? Sbagliato. John non assume mai un solo agente in tutta la sua carriera, preferendo accordarsi personalmente per i rinnovi e le firme dei contratti. Perché tra gentiluomini, come dice lui, la parola vale ben più di una semplice firma.

Particolare non da poco, disputa tutte e 19 le sue stagioni (1504 gare) con la stessa maglia di chi lo ha scelto quella prima volta, gli Utah Jazz, anche se a dire la verità qualche fischio del giorno del draft la gente se lo è rimangiato. Concetti come “bandiera” un tempo si potevano ritrovare con un po’ più di facilità, diciamo così.

Non vincerà mai un titolo in carriera il nostro John, anche se per due anni di fila trascinerà la sua squadra fino alla finale contro un insuperabile Jordan (ancora tu), risultando probabilmente la rivale migliore e più insidiosa per gli imbattibili Bulls di quel periodo.

Si consolerà in qualche modo, non solo con le 10 convocazioni alla partita delle stelle (quando ancora di partita si trattava, e non di un mix tra pagliacciata ed esibizione) di cui fu anche MVP in una edizione (non a caso insieme all’inseparabile Karl) ma anche per gli onori e i tributi che gli saranno riservati con ampio merito.

Sarà infatti parte della più grande squadra di pallacanestro di ogni epoca, tributo assai superiore al “semplice” oro olimpico conquistato a Barcellona ’92 e bissato ad Atlanta ’96. Ah se cercate i palloni di quelle finali li trovate esposti al Delta Center, suo gentile omaggio visto che in entrambi i casi se li tenne ben stretti al fischio finale (anche se non rientrano tra le “steals” ufficiali della carriera).

Tra le cose cui probabilmente gli importeranno tra il poco e il nulla: una statua del duo cestistico più celebre degli Stati Uniti davanti al Delta Center, il Loro campo; una strada ribattezzata col suo nome sempre nei pressi del palazzo; il nome del suddetto duo dato a innumerevoli esercizi commerciali di Salt Lake City.

Cose che speriamo abbiano almeno un po’ toccato la scorza di questo campione diverso da tutti gli altri: l’inclusione nei 50 migliori giocatori NBA di tutti i tempi nel 1996 durante l’all star game di New York e l’ingresso nella Hall of Fame nel 2009 insieme proprio a Michael Jordan (ma non dovevamo vederci più?) e a David Robinson.

Tra le cose che invece lo avranno commosso nel profondo ci sono sicuramente le parole del compagno e amico Malone: “non ci sarà mai un altro John Stockton. Mai”.

Si è ritirato (quarantenne) nel 2003, attraverso un comunicato stampa dei Jazz, senza pubblicità, senza interviste, senza conferenza stampa, senza partite d’addio, nel silenzio e in punta di piedi. Esattamente come era entrato 19 anni prima. Non ci saremmo aspettati niente di meno.

Marco Minozzi

L'autore: Redazione

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