Venezuela, l’eredità di Chàvez

Pubblicato il 18 Settembre 2013 alle 14:30 Autore: Giacomo Morabito

Secondo i dati forniti dall’ONU e dalla Banca Mondiale, dalla salita al potere del defunto presidente Hugo Chávez, il governo venezuelano è riuscito a ridurre le condizioni di povertà del Paese ricorrendo, in particolare, a enormi investimenti nel settore sociale e al controllo dei prezzi sui prodotti alimentari di base.

L’obiettivo, inoltre, è stato raggiunto anche grazie ai sussidi garantiti dallo stesso governo e ai proventi ottenuti dal settore petrolifero. Nonostante ciò, secondo alcuni economisti, le politiche sociali chaviste hanno creato particolari distorsioni all’economia del Paese, come quella del tasso fisso per il cambio di valuta estera, che mirava a mantenere il controllo da parte del governo sui prezzi di alcuni alimenti di base ma allo stesso tempo ha permesso la diffusione del mercato nero e del cambio di valuta di contrabbando. Al momento, il tasso di cambio ufficiale è 6,28 bolívares fuertes per 1 dollaro statunitense, mentre sul mercato nero è sei volte superiore.

L'ex Presidente venezuelano, Hugo Chàvez

L’ex Presidente venezuelano, Hugo Chàvez

Il tasso di cambio fisso viene considerato da alcuni economisti come la causa di specifici problemi dell’economia venezuelana: ad esempio, le importazioni diventano difficili poiché le aziende non possono accedere ai dollari statunitensi e, tenuto conto dell’insufficiente produzione nazionale di alimenti di base e della dipendenza alle importazioni, si è generata un’incredibile mancanza di prodotti.

Il Venezuela soffre dei tassi di inflazione più alti dell’America del Sud: i prezzi salgono regolarmente per i prodotti non sovvenzionati e protetti dal governo; contestualmente i salari minimi sono aumentati ma non abbastanza da colmare l’inflationary gap. Secondo José Manuel Puente, economista presso l’Instituto de Estudios Superiores de Administración (IESA), il Venezuela ha i peggiori indicatori macroeconomici dell’America del Sud.

Il ministro della Finanza, Nelson Merentes, ha recentemente ammesso che il governo chavista ha evidenziato un grande progresso nelle politiche sociali, senza però saper risolvere i problemi strutturali dell’economia del Paese. Infatti, il tasso di povertà nel Venezuela si è ridotto sensibilmente grazie ai proventi della Petroleos de Venezuela S.A. (PDVSA), la compagnia petrolifera di Stato, ma la politica monetaria attuata, la nazionalizzazione di alcuni settori e la gestione dei fondi pubblici sono stati criticati per aver incrementato l’inflazione e la mancanza di prodotti.

Di conseguenza, Chávez ha lasciato in eredità un Paese afflitto da una fatiscente struttura economica, una spesa pubblica insostenibile e un apparato industriale poco efficiente, oltre che una profonda corruzione: secondo la classifica dell’indice di percezione della corruzione, realizzata dalla Transparency International (associazione non governativa e no profit che si propone di combattere la corruzione) il Venezuela è fra i paesi più corrotti al mondo, scavalcato addirittura da Haiti e Zimbabwe.

L’attuale presidente venezuelano Nicolás Maduro ha annunciato che la lotta alla corruzione è una priorità per il suo governo, così come il contenimento della crisi inflazionistica in cui versa al momento il Paese: l’inflazione è al 43% e, considerato l’aumento del livello dei prezzi, potrebbe arrivare addirittura al 50% entro la fine dell’anno.

Infine, fonte di preoccupazione è anche il debito estero: basti pensare alla vicenda legata alla China Development Bank che, dal 2007, ha prestato al Venezuela complessivamente una cifra pari a 42,5 miliardi di dollari statunitensi. Eppure, durante la presidenza di Chávez, il governo venezuelano era riuscito a garantire agevolazioni e prestiti ai Paesi caraibici nell’ambito del programma della Petrocaribe, un’alleanza istituita su iniziativa del Venezuela per consentire la vendita del petrolio venezuelano a condizioni di pagamento preferenziali ad alcuni Paesi dei Caraibi.

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