Scandali in Svezia e trattative in Norvegia: la settimana scandinava

Pubblicato il 26 Settembre 2013 alle 16:50 Autore: Antonio Scafati

Potrebbe essere solo questione di ore, forse ancora un giorno o due, e poi si saprà qualcosa di più preciso. Un chiarimento era atteso già per la giornata di ieri, con il Partito Popolare Cristiano a un passo dall’abbandonare il tavolo.

Nel frattempo c’è chi guarda avanti – o almeno prova a farlo. Jan Tore Sanner, numero due della Destra, ha chiesto all’attuale ministro delle finanze Sigbjørn Johnsen qualche informazione in più sui conti pubblici. Ma ha ricevuto un no come risposta: nessun aiuto dal governo uscente. I numeri verranno diffusi come prassi insieme alla presentazione del bilancio.

Erna Solberg, leader del partito della Destra

Erna Solberg, leader del partito della Destra

Una posizione poco apprezzata dalla maggioranza di centrodestra che governerà il paese: “Non abbiamo chiesto anticipazioni sulla politica economica” ha commentato seccato Solvik-Olsen, del Partito del Progresso, “ma numeri complessivi”.

Anche in Finlandia è stata una settimana complicata. Il primo ministro Katainen ha ribadito l’intenzione di impedire che il rapporto deficit/Pil si assesti oltre il 60 per cento stabilito dai parametri europei: probabile che nella primavera dell’anno prossimo il governo decida di varare una manovra economica, l’ennesima della legislatura.

Certo, se si confermassero le previsioni diffuse dall’istituto Pellervo, la Finlandia non avrebbe bisogno di stringere ulteriormente la cinghia: l’ente di ricerca economico ha infatti dichiarato di prevedere una crescita del 2 per cento per l’anno prossimo, e un rapporto debito/Pil sotto la soglia del 60 per cento.

Nel frattempo sul fronte dei sussidi di disoccupazione l’esecutivo vorrebbe introdurre criteri più stringenti: i disoccupati avranno meno appigli per non accettare proposte di lavoro, pena corpose sforbiciate al sussidio. Da gennaio a settembre sono state 8.500 le persone che hanno perso il lavoro. Meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (erano state 12.000) ma comunque un numero che tiene alta la disoccupazione nel paese: 7,1 per cento ad agosto.

Tutt’altro clima in Islanda, almeno a sentire le parole del premier Sigmundur Davíð Gunnlaugsson, che da Londra ha messo sul tavolo i successi dell’isola: l’Islanda ha fatto tanta strada, ha detto, e sarà il primo paese ad uscire dalla crisi. Non è solo retorica, è politica. Anzi: è finanza.

Gunnlaugsson va a caccia di investitori stranieri, con l’obiettivo di portarne i denari sull’isola. Il tempismo non è casuale, visto che l’Islanda in questa fase sta facendo registrare il più basso livello di investimenti esteri negli ultimi anni.

Sul fronte delle relazioni estere, Sigmundur Davíð Gunnlaugsson ha ribadito che Reykjavík ha intenzione di stringere rapporti sempre più stretti con Stati Uniti ed Europa. Ma il capitolo che avrebbe dovuto condurre l’Islanda dentro l’Unione europea è un capitolo che rimarrà incompiuto. Il premier ha ribadito che il suo governo ha preferito prendersi una pausa.

Più che una pausa, però, quella dell’esecutivo islandese sembra una decisione definitiva. Quello tra Reykjavík e Bruxelles per il governo è un matrimonio che non s’ha da fare.

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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