Gabrielli: “L’Italia frana per il Patto di stabilità”

Pubblicato il 9 Ottobre 2013 alle 13:12 Autore: Andrea Scavo
sondaggio su Roma, il prefetto di Roma Franco Gabrielli

Gabrielli: “L’Italia frana per il Patto di stabilità”

(09/10/2013) “Questo paese sta letteralmente cadendo a pezzi“. Nella sua audizione alla Commissione Ambiente della Camera, il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli si pronuncia in maniera schietta sulle condizioni del territorio e dell’ambiente nel nostro Paese.

Sul banco degli imputati, ancora una volta, il Patto di stabilità interno e l’impossibilità per gli enti locali di intervenire (e spendere) sulla prevenzione e, dunque, di programmare un’efficace tutela del territorio.

La legge di stabilità che verrà approvata in questo scorcio finale dell’anno dovrà necessariamente prevedere una riforma delle regole di finanza pubblica del Patto di stabilità interno. È, questa, una delle più evidenti priorità per il Paese. La disciplina stabilita nel 2010, in vigore in questi ultimi tre anni, ha rappresentato un autentico capestro per gli enti locali italiani.

L’assolutismo imposto dall’approccio rigorista europeo (leggasi “tedesco”) ha determinato veri e propri paradossi per la finanza dei comuni italiani, non solo in tema di prevenzione e tutela del territorio. Tutta l’economia locale, al pari di quella nazionale, si è avvitata in una spirale recessiva senza fine.

Le regole europee, trasferite nel Patto di stabilità interno, impongono ai comuni di non accumulare ulteriore deficit e di ridurre l’indebitamento. Obiettivi encomiabili, non c’è che dire. Ma che vengono perseguiti con una logica inflessibile che strozza l’economia locale e, alla fine della fiera, impedisce il raggiungimento di quegli stessi obiettivi. O che impedisce di effettuare piccoli e “ordinari” interventi costringendo poi alle operazioni emergenziali per rimediare alle catastrofi.

I comuni italiani non possono spendere risorse che ottengono in co-finanziamento (dalla stessa Europa!) perché la parte di investimento a carico del comune andrebbe ad alimentare il debito. Anche se l’impegno riguarda la spesa per investimenti, la scure del rigore si abbatte senza pietà. I comuni perdono così il co-finanziamento e la possibilità di stimolare economia e sviluppo locali. O di mettere in sicurezza il territorio, come denuncia Gabrielli.

I comuni non possono nemmeno impegnare i residui di cassa, o riferiti a esercizi precedenti, perché la disciplina dell’UE esclude gli avanzi di amministrazione e i fondi di cassa dalla contabilità di bilancio. Tradotto, significa che i comuni “virtuosi”, che hanno risparmiato in passato, non possono spendere le risorse messe da parte. Come dire: l’operazione sarà riuscita benissimo. Peccato che il paziente sia deceduto.

Si impone una riflessione seria sul tema: sul patto di stabilità (e, teoricamente, di crescita) europeo l’Italia può fare poco, ma sul patto interno i margini di manovra ci sono. A partire da una revisione dei periodi contabili che allunghi l’orizzonte della stabilità ad almeno quattro o cinque anni, e da una fondamentale esclusione delle spese per gli investimenti e la tutela del territorio dalla cieca logica di rigore.

L'autore: Andrea Scavo

Ricercatore in Scienze Sociali e Politiche. Si occupa principalmente di politiche pubbliche e processi di policy-making, network e multi-level governance, istituzioni e politiche dell'Unione Europea, ricerca socio-organizzativa e organizzazione aziendale, diritto del lavoro e commercio internazionale.
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