Governo tecnico o politico?

Pubblicato il 17 Novembre 2011 alle 09:00 Autore: Matteo Patané
governo tecnico monti

Anziché forzare la mano e presentare immediatamente una squadra di Governo, Monti ha tuttavia scelto la via classica e più istituzionale delle consultazioni con i gruppi parlamentari e le parti sociali, iniziando due giorni di incontri che hanno ancora una volta rimescolato le carte in tavola.
Come alcuni giornalisti hanno fatto notare (ad esempio Bracconi su La Repubblica o Gramellini su La Stampa), il bipolarismo italiano targato Porcellum ha prodotto l’esistenza di ventuno gruppi parlamentari, trasformando quindi le consultazioni di Monti in uno stillicidio di incontri con gruppi e gruppuscoli ciascuno dei quali – con la lodevole eccezione dei partiti del Terzo Polo – ha iniziato più o meno velatamente a porre condizioni e paletti al proprio sostegno al nascituro Governo.
Pur in un contesto di generale crisi europea a livello di credibilità in cui l’Italia ha fatto comunque meglio dei suoi partner europei (dall’8 al 15 novembre, in una sola settimana, lo spread del Belgio è passato da 249 punti base a 312, quello francese da 129 a 190, quello spagnolo da 383 a 455, raggiungendo in tutti e tre i casi i massimi dall’entrata in vigore dell’Euro, laddove l’Italia è passata da 496 a 529), la ripresa della salita dello spread nelle giornate del 14 e del 15 novembre ha rimesso fortemente in discussione le sensazioni dell’opinione pubblica.
La generale stima di cui gode il professor Monti, unita ai veti incrociati dei partiti politici e al contemporaneo – anche se non necessariamente correlato – aumento dello spread al di sopra della soglia psicologica dei 500 punti, ha fatto insorgere nei più l’idea che fosse a questo punto preferibile legare indissolubilmente le sorti della politica politicante a quella del Governo Monti, facendo entrare personalità partitiche anche di spicco nella squadra dei Ministri in modo da garantire in qualche modo la tenuta dell’esecutivo.

In pochi giorni, quindi, si è passati da un estremo all’altro, sulla spinta però più di sensazioni mediatiche ed eventi esogeni che di reali considerazioni tecniche. Se si riguardano infatti le motivazioni che spingevano per un governo di sole personalità tecniche piuttosto che per un esecutivo aperto ai partiti, si vede infatti che sono sempre tutte valide. Ciò che è di volta in volta è cambiato è stato il peso assegnato a ciascun pro e contro, a seconda delle reazioni del momento della politica e dei mercati.
Per capire la bontà di una scelta piuttosto che dell’altra non è quindi possibile affidarsi a scenari estemporanei che mutano di giorno in giorno, ma occorre individuare quali possono essere le tendenze in grado di prevalere sul lungo periodo.

L’unico punto realmente consolidato, al momento, riguarda la stima che Mario Monti è riuscito a raccogliere attorno alla propria figura. Tramite uno stile sobrio ed una chiarezza espositiva rari nel mondo politico è stato in grado ad un tempo di risaltare per contrasto rispetto al suo predecessore Berlusconi e contemporaneamente di dare l’impressione di essere un reale “uomo del fare”, con idee e programmi precisi.
Anche se il Parlamento ha quindi il potere di sfiduciare Monti in qualsiasi istante, gli impatti previsti sull’opinione pubblica – salvo che la sfiducia arrivi su temi fortemente caratterizzanti un segmento elettorale – sono tali da considerare il potere esecutivo l’elemento forte rispetto a quello legislativo.
La presenza di politici nel Governo, quindi, e soprattutto di politici provenienti dall’attuale esperienza della XVI Legislatura, non pare essere un quid in grado di fornire particolari vantaggi in termini di stabilità e tenuta del governo. Al contrario, l’ingresso di politici nell’esecutivo aprirebbe una irresponsabile ma inevitabile serie di veti e imposizioni in cui ogni partito cercherebbe di accaparrarsi i posti migliori o quelli in cui vede interessi da difendere, per non parlare del fatto che l’apertura a personalità di spicco della ex maggioranza berlusconiana (che dovrebbero necessariamente essere presenti, per bilanciare l’ingresso di politici di opposizione in una sorta di “garanzia” partecipativa) non consentirebbe quel necessario stacco tra passato e futuro che i mercati si attendono dall’Italia.

Ben venga quindi un governo tecnico, sufficientemente svincolato da logiche di partito per essere realmente indipendente e al tempo stesso dotato del sufficiente appeal europeo ma soprattutto nazionale per tenere in scacco i giochetti della politica.

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
Tutti gli articoli di Matteo Patané →