Perché esistono ancora fan dei dittatori?

Pubblicato il 15 Dicembre 2011 alle 14:49 Autore: Carlandrea Poli
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“Grazie a lei generale il Cile ha sconfitto il marxismo ed è tornato alla libertà”. A riascoltare queste parole pronunciate da Margaret Thatcher alla fine degli anni ’90 si resta secchi. Com’è possibile immaginare che la leader del governo più liberista della storia della Gran Bretagna abbia potuto flirtare con Augusto Pinochet Ugarte, capo di una giunta militare dal 1973-1990? Real politik diranno i semplicisti.

Il Cile nel 1982 – in controtendenza con l’amicizia dimostrata verso l’Argentina con il piano Condor degli anni ’70 – si schierò dalla parte della Gran Bregana nella guerra di riconquista delle isole Falkland. Secondo questa teoria, quindi nulla di strano. Tutto si spiegherebbe con le alleanze internazionali che spesso spingono per ragioni di convenienza a stringere legami con stati canaglia. In Italia abbiamo fatto scuola con l’amicizia stretta con Muammar Gheddafi, che ha attraversato due repubbliche, una decina di governi e di ministri degli esteri. Questa analisi non farebbe una piega se ci trovassimo vis à vis con un dittatore qualunque. La domanda storica da porsi, dunque, diventa: Pinochet è stato un dittatore tipico?

Una grandinata di dubbi si abbatte sui nostri ragionamenti. Peggio ancora, scombina i nostri classici schemi politologici. Anzitutto un dato: nel 2011 in Cile dopo 20 anni ininterrotti di governi di centrosinistra (a guida Dc-Ps) il 40% della popolazione nutre simpatia verso Pinochet al punto da assegnargli nella storia un ruolo riequilibratore rispetto alle tensioni sociali e alla colata a picco dell’economia consumatasi durante la presidenza di Salvdor Allende. Un dato assolutamente sproporzionato se si pensa che i nostalgici dei regimi in Russia, Italia e Germania fin dal momento del ripristino della democrazia hanno rappresentato porzioni nettamente marginali dell’opinione pubblica. La persistenza di un’ampia simpatia in Cile può essere facilmente spiegata con i risultati delle politiche economiche messe in atto dalla giunta militare con i ministri-economisti formati all’ombra del premio nobel, Milton Friedman.

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Fu proprio lui a ribattezzare gli anni 1973-1990 come quelli del “miracolo cileno”. Ricevuto un paese con un’inflazione a 3 cifre (circa il 700% a metà 1973) alla fine del regime l’aumento dei prezzi è tornato a livelli europei (5,5%) per attestarsi nel 2010 – con un’intelaiatura dell’economia sostanzialmente confermata dai governi democratici – su un ragguardevole 1,7%. Questo è probabilmente il primo elemento d’anomalia per una dittatura classica, che con un paragone forzato è stata spesso associata al fascismo. Invece che aumentare il controllo sull’economia per controllare la vita della nazione e di ogni singolo abitante la presidenza Pinochet ha innescato una serie floridissima di riforme economiche liberiste e di tagli alla spesa pubblica. Questo perchè tecnicamente non si trattava di un sistema totalitario ma bensì autoritario.

La sanità è stata parzialmente privatizzata, le pensioni con la riforma Pinera sono gestite interamente con fondi di investimento gestiti in un rapporto diretto fra lavoratori e imprese specializzate nei prodotti finanziari. Non è escluso in effetti che a Washington, da dove arrivò un contributo finanziario per rovesciare Allende, Henry Kissinger e Milton Friedman volessero sperimentare la costruzione di una “democrazia” partendo dalla libertà economica invece che dalla libertà politica. Invertendo l’ordine dei fattori il risultato non è cambiato? Forse. Certamente oltre all’impennata del Pil – con un tasso d’espansione medio del 6% annuo – il Cile si è ritrovato fra le mani le istituzioni dove ora pascolano le garanzie costituzionali più robuste del Sudamerica. Possibile allora che Pinochet si sia rivelato storicamente un dittatore “liberale” – oltre che liberista – sul fronte economico? Apprezzabile dalla Thatcher e dai figli delle libere elezioni?

Ripercorriamo brevemente i fatti. L’11 settembre 1973 Pinochet guida un golpe contro Allende dopo che quest’ultimo è stato messo fuori legge dal Congresso nazionale cileno e dalla Corte Suprema. Come spesso accade nei sistemi presidenziali la crisi istituzionale fra governo e assemblea parlamentare si sblocca con un golpe. E, a differenza della storia politica mondiale, in Cile l’esercito gioca un ruolo di ripristino della democrazia. Successe per una manciata di mesi nel 1925 con Carlos Ibanez, al quale si deve la stesura di una nuova Costituzione. Emiliano Figueroa e Ibanez – entrambi generali – si alternarono poi al potere dal 1927 al 1932. Accadde anche nel caso di Pinochet? Indubbiamente fu lui a gestire ogni tappa della lunghissima transizione, dal nuovo dettato costituzionale del 1980 alle riforme costituzionali del 1989 in seguito al plebiscito dell’anno precedente che perse ampiamente, ma conservando pur sempre il 43% dei consensi.

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L'autore: Carlandrea Poli

Nato a Prato il 27/06/1987 giornalista pubblicista, ha cominciato a collaborare con alcune testate locali della sua città per poi approdare al Tirreno. Appassionato delle molte sfaccettature della politica, ha una predilezione per la comunicazione, l'economia e il diritto. Adora il neomonetarismo, l'antiautoritarismo della scuola di Francoforte e prova a intonare nel tempo libero con scarso successo le canzoni di Elisa Toffoli. Su Twitter è @CarlandreaAdam
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