Monti apre alla tobin tax

Pubblicato il 20 Dicembre 2011 alle 09:24 Autore: Matteo Patané
tobin tax

Il significato dell’esperienza svedese, come d’altra parte risulta ovvio anche a livello logico, è che unatobin tax di dimensione locale è una misura puramente depressiva ed emarginante, in quanto non fa che dirottare investitori e speculatori su altre piazze finanziarie più favorevoli.
Questo ha tuttavia generato un progressivo gioco allo scaricabarile, in cui i diversi Paesi ed i diversi governi si mostravano tutti favorevoli ad una tobin tax globale senza che tuttavia nessuno ardisse fare il primo passo nelle sedi nazionali e internazionali. Il Governo Italiano di matrice berlusconiana si era sempre scagliato contro la tobin tax, vuoi in via soft come il Ministro dell’Economia Tremonti, vuoi in termini più coloriti come il Presidente del Consiglio Berlusconi, che non esitò a mettersi di traverso alla UE quando questa la propose e definire ridicola la proposta, come riportarono tra gli altri La Repubblica ed Il Corriere della Sera.
Nel mondo i principali oppositori alla tobin tax sono USA, Cina e Giappone; nell’Unione Europea, di per sé più possibilista e al cui interno diverse timide proposte sono state tentate nel corso degli anni, pesa in maniera sostanziale il veto dei Paesi che ospitano le principali piazze finanziarie, Regno Unito e Paesi Bassi. In realtà sotto il governo Brown da Londra erano arrivati diversi segnali di apertura alla tassa sulle transazioni finanziarie, al punto che lo stesso Parlamento Europeo ha votato una risoluzione in cui veniva richiesta l’introduzione di una tobin tax a livello globale o quantomeno europeo. Il ragionamento alla base di una simile proposta è stata la scommessa che una sufficiente massa critica di Stati e di piazze finanziarie potesse essere sufficiente a rendere operativa la tobin tax senza condannare all’emarginazione quegli stessi Paesi in favore di altri mercati più liberi da imposte.
Il passaggio di governo dai laburisti ai conservatori del 2010 ha riportato il dibattito in fase di stallo.

Nelle ultime settimane sono tuttavia maturati due eventi che possono costituire un vero punto di svolta nel processo di applicazione di una tobin tax a livello europeo. Il passaggio di consegne da Berlusconi a Monti – allievo dello stesso Tobin a Yale – ha portato Roma ad allinearsi a quel gruppo di Stati capitanati dalla Germania che vogliono l’approvazione della tobin tax. Tuttavia Monti, alla ricerca di alleanze politiche per contrastare l’asse Parigi-Berlino in seno alla UE e che nutriva speranze di un aggancio con Londra, forse non si sarebbe mai esposto esplicitamente in tal senso se il Regno Unito, al vertice europeo dell’8 e 9 dicembre, non avessi scelto di non aderire all’accordo sulla fiscalità comune europea, isolandosi così dal resto della UE.
È chiaro, l’isolamento della Gran Bretagna è più apparente che reale: Londra conserva tutti i suoi poteri in seno alle istituzioni europee, e può essere in grado di bloccare iniziative a livello europeo tramite il diritto di veto o raggranellando una minoranza di stati sufficiente a impedire il formarsi di una maggioranza qualificata. Ciò che tuttavia è emerso dal summit di dicembre è la volontà politica di creare un’Europa multilivello e a geometria variabile, in cui sottoinsiemi degli Stati membri possono accordarsi tra di loro e prendere iniziative anche in ambito legislativo senza dover sottostare ai veti dei Paesi che hanno deciso di restare fuori da un determinato accordo. Questa visione è naturalmente ancora in stato embrionale e si scontra con una realtà così interconnessa da necessitare di serie valutazioni prima di poter essere tradotta in realtà – ad esempio prendere decisioni di stampo economico senza la Gran Bretagna che è il secondo azionista della BCE appare quasi un controsenso – tuttavia lascia intendere come l’attuazione della tobin tax europa non sia mai stato un obiettivo così alla portata della UE.
La massa critica di Stati coinvolti, secondo le intenzioni dei promotori, sarebbe sufficiente ad evitare la marginalizzazione della UE nei confronti, ad esempio, di altre piazze non tassate come New York o Londra nel caso il Regno Unito restasse al di fuori da un simile accordo.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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