L’uranio del Niger e la politica coloniale francese

Pubblicato il 4 Gennaio 2014 alle 19:23 Autore: Raffaele Masto

Areva, la multinazionale francese per la produzione di energia atomica ha sospeso la produzione nel sito nigerino di Arlit mentre è in corso il negoziato con il governo di Niamey sullo sfruttamento delle immense miniere a cielo aperto di uranio nel nord del paese. Questa interruzione viene denunciata, sia dalla società civile, sia dal governo nigerino stesso, come una sorta di ricatto sulle trattative in corso che dovrebbero stabilire quote di profitti più favorevoli al Niger. Il governo nigerino del presidente Mahamadou Issoufou ormai denuncia da mesi un partenariato squilibrato a favore della società francese. L’uranio rappresenta il 70% delle esportazioni del Niger ma contribuisce soltanto al 5% del prodotto interno lordo oltre ad aver causato negli ultimi decenni gravi danni ambientali e alla salute dei lavoratori locali.

areva

Negli ultimi 40 anni, denuncia sempre il governo nigerino, solo il 13% del valore globale dell’uranio esportato sarebbe finito nelle casse del Niger. C’è da tenere conto che quando si parla di Areva si parla di governo francese. L’ex potenza coloniale è infatti azionista all’80% di questo gigante mondiale della produzione di energia atomica che da più di 40 anni sfrutta una materia prima fondamentale per il suo sviluppo. La politica energetica francese, infatti, si fonda sull’energia nucleare con l’esistenza nel paese di oltre cinquanta centrali. Areva in questa trattativa vuole, evidentemente, conservare vantaggi di tipo coloniale. I negoziatori della multinazionale, infatti, fanno riferimento a una clausola di stabilità di 75 anni contenuta in un titolo minerario del 1968.

Bisogna poi tenere conto del fatto che il negoziato si sta svolgendo in un contesto regionale particolarmente complesso dato che non si può non considerare la minaccia del terrorismo di matrice islamista che oltre al Mali incombe anche sul confinante Niger. Gli immensi interessi francesi nelle miniere a cielo aperto di Uranio in Niger sono anche uno dei motivi che hanno spinto la Francia ad intervenire in modo risolutivo in Mali e ad agire con determinazione in tutta la regione per non perdere posizioni. Si veda la Repubblica CentroAfricana, l’intervento in Costa D’Avorio e le pressioni e influenze in Ciad.

La crisi nelle trattative tra Arevà e il governo nigerino è determinata anche dal fatto che quest’ultimo può oggi ribellarsi alle imposizioni di Parigi perché sa di poter concedere diritti di sfruttamento del proprio uranio a potenze come le emergenti economie asiatiche: la Cina, l’India, la Russia e non solo. La partita dunque è grossa e, non è escluso, può portare nel prossimo futuro venti di guerra e di conflitti. Le guerre infatti non nascono mai dal nulla o solo da dinamiche interne africane. Definire i conflitti africani tribali o etnici è, infatti, un clamoroso falso con un certo sapore razzista.

L'autore: Raffaele Masto

Giornalista di Radio Popolare-Popolare Network. E' stato inviato in Medio Oriente, in America Latina ma soprattutto in Africa dove ha seguito le crisi politiche e i conflitti degli ultimi 25 anni. Per Sperling e Kupfer ha scritto "In Africa", "L'Africa del Tesoro". Sempre per Sperling e Kupfer ha scritto "Io Safiya" la storia di una donna nigeriana condannata alla lapidazione per adulterio. Questo libro è stato tradotto in sedici paesi. L'ultimo suo libro è uscito per per Mondadori: "Buongiorno Africa" (2011). E' inoltre autore del blog Buongiornoafrica.it
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