Ankara mette i boots on the ground in Caucaso

Pubblicato il 27 Novembre 2020 alle 12:22 Autore: Matteo Bulzomì

Il 18 novembre il Parlamento turco ha approvato l’invio di militari con funzione di peacekeeping nel territorio del Nagorno-Karabakh. Il contingente turco rimarrà nella regione per un anno insieme a quello russo, anch’esso impegnato a sorvegliare l’implementazione degli accordi di pace del 10 novembre. Il territorio è teatro di scontri tra armeni e azeri dalla caduta dell’Unione Sovietica, quando venne riconosciuto come parte dell’Azerbaijan pur essendo popolato in maggioranza da armeni.

Negli ultimi mesi gli azeri sono riusciti a farsi strada nella regione, conquistando la città di Shushi, a pochi chilometri da Stepanakert, capitale del distretto. L’accordo di pace è arrivato dopo tre tentativi falliti di raggiungere un cessate il fuoco ed è stato firmato dal Primo Ministro armeno Nikol Pashinyan, dal Presidente azero Ilham Aliyev e dal Presidente russo Vladimir Putin.

I pilastri del compromesso sono tre. Il primo è la cessazione immediata delle ostilità e il ritiro delle truppe armene dai circondari di Agdam, Kebajar e Lachin, obbligo che non sussiste nelle aree occupate dagli azeri. Il secondo è il dispiegamento di peacekeeper russi e turchi lungo le frontiere. Essi avranno anche l’incarico di presidiare il corridoio di Lachin, che collega l’Armenia all’Artsakh (la repubblica armena nel Nagorno-Karabakh), e di aprire un corridoio che connetta l’Azerbaijan alla regione di Nakhcivan, separata dal resto del Paese. Il terzo è lo scambio di prigionieri, i cui termini sono ancora da definirsi.

L’accordo è stato accolto con entusiasmo da Baku, che vede nelle recenti conquiste un riscatto dalla sconfitta del 1994. La presa di Shusha (nome azero di Shushi), in particolare, è di essenziale importanza per il controllo della regione, dal momento che da lì potrebbe partire un’offensiva in grado di prendere Stepanakert. Quasi inutile a dirsi, gli armeni considerano il compromesso come un tradimento dei loro dirigenti e un’offesa all’onore nazionale. Erevan dovrà inoltre, nei prossimi mesi, gestire l’arrivo dei profughi provenienti dalle aree cadute sotto il controllo azero, che per ora sono circa 150.000.