Lo stato sociale al tramonto?

Pubblicato il 10 Gennaio 2012 alle 13:00 Autore: Matteo Patané
lo stato sociale

Tuttavia, contrariamente all’instaurazione e al mantenimento di altri diritti riconosciuti dagli Stati ai cittadini, come quelli contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, garantire i capitoli delwelfare costituisce una fonte di onere finanziario per lo Stato: sistema pensionistico, servizio sanitario, trasporto pubblico, servizio per gli infortuni sul lavoro e via dicendo hanno impatti ben differenti dalla libertà di stampa sull’erario.
Mezzo secolo di crescita economica e di benessere hanno portato a ritenere che l’attuale sistema potesse essere un punto di passaggio obbligato per la civiltà, una conquista da non rimettere più in discussione.
Purtroppo, gli ultimi anni hanno dimostrato quanto velleitarie fossero tali illusioni: la crisi economica in Europa ha portato i governi a ridiscutere e circoscrivere in maniera anche significativa ciò che lo Stato ha il potere di offrire ai suoi cittadini, e l’editoriale di Deaglio – in special modo le frasi segnalate dall’autore della lettera – ha il pregio di mettere in evidenza proprio questo importante fenomeno.

Quanto stiamo vivendo in Italia e in Europa significa necessariamente il tramonto di un welfare stateincapace di misurarsi e di essere economicamente competitivo con le altre realtà con cui il rapidissimo fenomeno della globalizzazione lo ha portato a interagire?
Tralasciando le teorie complottiste che vedono negli attacchi speculativi al sistema bancario e ai debiti sovrani un preciso piano per distruggere lo stato sociale europeo, è comunque doveroso ricordare che la nostra visione della crisi è filtrata dal vivere in uno Stato comunque sotto l’attacco diretto della speculazione e con una evoluzione in ogni caso del tutto peculiare.

lo stato sociale

Chi oggi sostiene l’anacronismo e l’insostenibilità del welfare state dimentica le modalità con cui tali servizi sono stati garantiti in Italia: se da un lato si deve ammettere la dilapidazione del patrimonio dello Stato in clientele e prebende, il nostro Paese è però letteralmente soffocato da un’illegalità diffusa – che si manifesta in svariate forme, dalla criminalità organizzata che opprime certe aree del Paese alle piaghe della corruzione e dell’evasione fiscale – che ha nel tempo impedito allo Stato di ricevere le risorse necessarie per l’implementazione di uno stato sociale sano ed efficiente, spesso nell’indifferenza o addirittura con la connivenza delle istituzioni stesse. Quelli che oggi chiamiamo diritti sono stati per decenni comprati e finanziati quindi contraendo debiti e ipotecando il futuro del Paese. Oggi che la mole di tale debito è diventata insostenibile, ritenere che la colpa sia del costo del welfare state è una visione parziale e in ultima analisi falsa.

Economie più solide di quella italiana, con crescite economiche meno drogate da debiti, vedono infatti molto meno a rischio di noi le conquiste ottenute nel XX seolo dalle classi sociali più deboli.
Se l’esempio dei paesi nordici – da tutti portati a modello – è difficilmente assimilabile a quello italiano a causa della differente proporzione in termini di territorio, risorse e popolazione, è tuttavia innegabile come i sistemi economici di Francia e Germania siano in grado di coniugare accettabili tassi di crescita con la conservazione di un welfare state così come l’abbiamo conosciuto negli ultimi decenni.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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