Il grande silenzio: dov’è finita la politica?
Questo è un articolo di opinione che riflette l’idea personale dell’autore e che non ha subito alcuna modifica da parte della redazione di Termometro Politico.
Dal 5 novembre 2024, con la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, la politica nel Vecchio Continente sembra essere entrata in uno stato di sospensione. In Europa, e in particolare in Italia, l’attività dei partiti si è ridotta al minimo. Nessun congresso, poche manifestazioni, un’opposizione svanita nel silenzio.
La politica è morta. Ve ne eravate accorti? Se non lo avevate fatto, ve lo dico io.
La politica è morta. E io ho anche la data di morte, sarei pronto a scriverla sul certificato. Il 5 novembre dell’anno scorso. Quando ha vinto Trump.
Perché, se non ve ne foste accorti, la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali statunitensi del 5 novembre 2024 – esattamente sei mesi fa – ha avuto effetti immediati e sorprendenti ben oltre i confini degli Stati Uniti. Se negli USA la reazione si è mossa tra entusiasmo e protesta, in Europa si è invece assistito a un fenomeno più silenzioso, ma non meno allarmante: un improvviso rallentamento, quasi un collasso dell’attività politica, in particolare nei partiti di opposizione della sinistra.
In Italia, il fenomeno è diventato evidente sin dai primi giorni dopo l’annuncio della vittoria del tycoon. I partiti hanno ridotto drasticamente la propria esposizione pubblica. Le televisioni amiche intervistano Giuseppe Conte e Elly Schlein quel tanto che basta a dare qualcosa in pasto ai rispettivi fan. Poco, intendiamoci: la dieta impone regole ferree. I congressi annunciati sono stati rinviati a data da destinarsi, e le manifestazioni – da sempre uno dei principali strumenti espressivi della sinistra – si sono fatte rare o del tutto assenti. Il dibattito politico è evaporato, lasciando spazio a una narrazione mediatica dominata da esteri e cronaca nera.
I social network, un tempo fucina di idee, confronto e scontro politico, si sono riempiti di silenzi. Gli account ufficiali di molti dirigenti progressisti hanno smesso di pubblicare contenuti originali, limitandosi a rilanciare notizie o comunicati privi di tono e di visione. Anche le fondazioni, le riviste, i centri studi collegati al mondo progressista hanno ridotto le attività, come se la rielezione di Trump avesse inferto un colpo psicologico più che politico a un campo già debilitato da anni di sconfitte, divisioni e ambiguità strategiche. Il fatto che l’unica iniziativa di questo periodo sia legata al sindacato Cgil, con la campagna referendaria, e che quando si parla di temi sociali ci si riferisca solo all’eredità morale di Papa Francesco, fa ben capire quanto eloquentemente stia parlando il silenzio della politica.
L’impressione che emerge, parlando con alcuni politologi (pochi sono i politici disposti a parlarne), è quella di un vero e proprio “shock di sistema”. La convinzione diffusa che Trump non sarebbe mai più tornato alla Casa Bianca si è rivelata un’illusione paralizzante. È come le sua vittoria avesse rimescolato gli equilibri globali disvelando tutta l’impreparazione di un’Europa che confidava in una stabilità internazionale sotto la guida democratica statunitense.
In parallelo, anche nei principali paesi dell’Unione Europea – dalla Francia alla Germania, passando per Spagna e Paesi Bassi – il quadro non è migliore. In Francia, il Partito Socialista è pressoché scomparso dai radar dopo l’exploit dell’estrema destra alle europee. In Germania, i Verdi e i Socialdemocratici appaiono incapaci di reagire a una polarizzazione crescente. La sinistra iberica si è avvitata in lotte interne, mentre nei Paesi scandinavi l’apatia sembra essersi tradotta in una sorprendente ascesa di formazioni tecnocratiche o conservatrici.
Al contrario, il fronte sovranista e conservatore europeo sembra galvanizzato dalla nuova amministrazione Trump. Ma anche nel suo caso, il vitalismo delle origini lascia il campo a un quieto vivere, a un’aura mediocritas. Le forze populiste capitalizzano la percezione di un’“onda nuova”, segnata da un ritorno al nazionalismo, al protezionismo e a un disimpegno internazionale degli USA. Ma non brillano per il lancio di chissà quali idee nuove. Giorgia Meloni, da tempo attenta a mantenere buoni rapporti con l’area repubblicana americana, ha espresso un cauto entusiasmo per la “nuova fase atlantica”, come l’ha definita. E per celebrarla, ha messo la sordina alle grandi riforme: il premierato, la giustizia, l’autonomia differenziata possono aspettare tempi migliori per vedere la luce. Ma è soprattutto l’assenza di una risposta – culturale prima ancora che politica – da parte delle forze progressiste, riformiste, liberali a colpire. Come se il campo largo si fosse trasformato in un campo vuoto. La politica, in Italia e in Europa, sembra aver spento il microfono. Dopo Trump, regna il silenzio.