I due problemi che il PD deve affrontare

Pubblicato il 29 Marzo 2011 alle 23:24 Autore: Livio Ricciardelli
I due problemi che il PD deve affrontare

Il Partito Democratico ha due problemi – e qualche buontempone potrebbe ironizzare su questa prima affermazione con frasi ad effetto, del tipo “magari fossero così pochi!”.

Ma siccome un alto numero di problemi interni è una prerogativa del Pd, non intendo soffermarmi più di tanto sulla nascita di questo grande partito riformista che è il Pd, né sugli errori compiuti in passato, nel presente e su quelli che verranno compiuti in futuro. Intendo concentrarmi sue due aspetti che ritengo strategici (per quanto possano sembrare scontati) per tutto il Partito Democratico, e che possono essere la base per una piattaforma politica e programmatica in grado di rilanciare il partito e tutto lo schieramento di centrosinistra.

1) Il problema dell’agenda: Il Partito Democratico è, e soprattutto aspira ad essere, il perno di uno schieramento di centrosinistra che intende essere alternativo al governo delle destre. Essendo dunque il fulcro di questo schieramento che possiamo definire col nome di “centrosinistra”, subisce una condizione che per anni ha colpito il centrosinistra tutto: la subalternità alla destra nel dettare l’agenda politica. In Italia è Berlusconi a dettare l’agenda politica e ciò porta ad effetti singolari (si trattano principalmente dei temi che alla gente non interessano) e costituisce un problema per il Pd, costretto ad inseguire Berlusconi su questi temi. Mentre è probabile che se il centrodestra sceglie delle tematiche politiche specifiche lo fa in quanto maggiormente competitivo in proposito e più facilmente può trarne consenso elettorale. Forse l’unico periodo in cui il Pd ha dettato l’agenda politica di questo paese è stato durante la campagna elettorale del 2008 e ciò ha portato ad una notevole semplificazione del quadro politico. Ma qui non voglio fare un’analisi storica né alimentare polemiche su quella stagione. Il Partito Democratico deve stabilire in primo luogo al suo interno la sua identità, non a livello strettamente ideologico ma sui singoli temi, secondo una modalità pragmatica che preveda anche il pronunciamento degli iscritti.

Stabiliti i temi principali arriva la fase in cui occorre portarli avanti. Ma bisogna farlo con coraggio e determinazione. Sulle riforme istituzionali il Pd ha presentato un programma a Napolitano ben più chiaro e coerente di quello del centrodestra. Ora però bisogna portarlo avanti e farlo conoscere ai cittadini facendo scoppiare le contraddizioni della maggioranza. Anche in Parlamento. Dovrebbe essere eliminato il luogo comune secondo cui il Pd non vota al proprio interno perché non omogeneo. Il Pd italiano è fin troppo omogeneo se confrontato ad altri soggetti politici del centrosinistra europeo. Fare chiarezza programmatica e portare avanti le proprie proposte in maniera martellante, pur consci del sistema mediatico sfavorevole.

2) Sindrome “di George Orwell”: nel libro di Orwell 1984: nel 2000 non sorge il sole si afferma che il totalitarismo inizia quando si incomincia a negare che la somma di 2 più 2 è uguale a 4. Questo è ancor più vero oggi nel nuovo millennio: la democrazia rischia di svuotarsi del suo significato sostanziale, pur conservando la sua struttura formale e di facciata. Ciò non solo ci deve ricordare che occorre sempre e comunque la massima vigilanza democratica, ma anche che per ogni grande impresa democratica occorre una cosa sostanziale: l’obiettività. Nel Pd questi canoni d’obiettività si sono persi: si sostiene una tesi più per convenienza di parte che per convinzione, tralasciando le caratteristiche che possono rendere questa tesi sia utile sia obiettiva. Ciò porta a conseguenze gravissime per il Pd: manca la franchezza all’interno e ciò non può proiettarsi verso l’esterno. Se si è costretti a negare una sconfitta elettorale perché si teme la resa dei conti da parte della minoranza il Pd ha perso una seconda volta! Perché si fa un danno ben più grave di quello che può nascere da una discussione interna al partito stesso. Può apparire scontato, ma visti i tempi in questo paese la questione si rafforza: superare i canoni correntizi a favore dei canoni d’obiettività politica può essere un atto fortemente rivoluzionario. E una vera garanzia per il Partito Democratico.

I problemi sono molti di più e molto più complessi. Penso che comunque questi due temi siano la base di un imponente lavoro che può fare il Partito Democratico una forza politica all’insegna del rinnovamento.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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