La scissione più inutile della storia

Pubblicato il 10 Ottobre 2010 alle 16:41 Autore: Livio Ricciardelli
La scissione più inutile della storia

Questa volta tralasciamo le congetture e le analisi su un rischio voto anticipato e su un rischio inadeguatezze e/o mancanza di preparazione da parte del centrosinistra.

Soffermiamoci su altro, liberiamo la testa da tristi pensieri sulla falsariga di una finta gara di pesca tra Berlusconi e Putin nelle vicinanze di San Pietroburgo.

E questa volta parliamo di un tema molto caro ai giorni nostri che, nonostante il mutamento del quadro politico, è sempre più attuale: la scissione.

Di recente il Capo del Governo è intervenuto in Parlamento annunciando che “una parte dell’Udc ha organizzato una scissione dando vita ad un nuovo partito”, tra lo stupore generale dell’aula e di Casini che si erano fermati alla notizia del nuovo gruppo parlamentare dei Popolari per l’Italia di domani, o qualcosa del genere.

E quindi la disciplina di partito è importante, va rispettata la linea politica, e quando si varca una determinata soglia, dai confini molto spesso più che opinabili, si dà vita al gesto ultimo che spesso spezza in un colpo solo e nell’arco di pochi significativi minuti anni e anni di esperienze politiche comuni. Di sogni, passioni e speranze.

E quindi quando si parla di “scissione” spesso rimembriamo l’intricata storia della diaspora socialista e soprattutto la complessa vicenda delle Democrazie Cristiane (notare il plurale) che non rassegnandosi all’atto d’imperio dell’intrepido Martinazzoli si proclamarono eredi e titolari dell’ambito Scudo Crociato. Con conseguenti scissioni del friulano Angelo Sandri dal partito che fu di Pino Pizza e con conseguenti (e personalmente traumatici) congressi del 2003 in cui si declamava e si festeggiava il ventesimo e passa congresso della Democrazia Cristiana.

Ma questa volta vogliamo parlare di un evento forse poco conosciuto, e a tratti anche sottovalutato.

Un fenomeno scissionista della nostra realtà politica che in pochi ricordano, che in molti non hanno realmente compreso e che quasi nessuno si aspettava.

Abbiamo infatti sempre concepito la galassia rappresentata dal Partito Radicale come un qualcosa di profondamente diverso da “tutto il resto della politica”. Questo non solo perché per anni la strategia solitaria di questa formazione politica ha visto la sua scomparsa dal Parlamento italiano. Ma anche perché i Radicali, come ci insegnano i magistrali manuali di scienza politica, sono stati inizialmente più un gruppo di pressione che altro. Divenuto poi partito fu consacrato ufficialmente nel 1976 quando, varcando la fatidica soglia dell’1%, elesse i suoi primi quattro deputati della storia.

Il Partito Radicale. Lo stesso che, molti dimenticano, nacque proprio da una scissione nel 1955 dal Partito Liberale Italiano di Malagodi. Ovviamente ai quei tempi Pannella già c’era.

E quindi, per quanto siano una forza anomala, anche i radicali hanno vissuto quei problemi e quegli intoppi che vivono tutte le famiglie. Quell’intoppo è una scissione che io non esiterei a definire come “la scissione più inutile della storia”.

Ma andiamo con ordine: il luogo del delitto è il congresso nazionale del Partito Radicale del 1982 a Bologna.

La vicenda: avviene una scissione dal partito. Infatti la componente capeggiata dall’ex segretario del partito Geppi Rippa (che era stato leader radicale subito prima di Francesco Rutelli e uno degli storici militanti del partito a Napoli) si trova in disaccordo con la linea e forma un nuovo soggetto politico denominato Movimento Federativo Radicale. Un’uscita dal partito che ovviamente precedette per Rippa l’uscita dal gruppo radicale alla Camera con la conseguente entrata nel gruppo misto.

Le ragioni? Semplici! Nel corso del congresso di Bologna, ovviamente su impulso di Pannella, fu sancita la nuova linea ufficiale del partito che si basava sulla lotta contro la fame del mondo.

Ancora oggi quando si parla tra amici di un obbiettivo politico astratto e vago si parla della “lotta contro la fame nel mondo” come se fosse, pur essendo qualcosa di ovviamente sacrosanto, una problematica di facile risoluzione. Ancor di più per un partito del 2%.

Contrastando questa vaga linea politica Rippa fonda il suo movimento che, a differenza dei radicali, voleva utilizzare le sue energie per proseguire il dialogo e le trattative politiche col Partito Socialista Italiano.

Come se la lotta contro la fame nel mondo e il dialogo coi socialisti fossero due estremi assolutamente inconciliabili (ed effettivamente sbirciando in qualche vecchio menù del Plaza questo dubbio viene).

Il Movimento Federativo Radicale comprendeva tra l’altro Gaetano Quagliariello, attuale vice-capogruppo del Popolo della Libertà al Senato. Un destino analogo a quello di Eugenia Roccella, attuale sottosegretario alla Salute, anch’ella dal passato radicale.

Col passar del tempo il Movimento Federativo Radicale entrò di fatto nel Psi (nel 1985) mantenendo una sua autonomia con la pubblicazione della storica rivista “Quaderni Radicali” tuttora esistente, e lo stesso Rippa entrò nell’Assemblea Nazionale del Psi.

Con la fine del Psi e della Prima Repubblica, tutti gli scissionisti di Bologna rientrarono, che prima e chi dopo nei Radicali.

La scissione più inutile del mondo. Tranne per Quagliariello, ovviamente.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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