DAL BLOG: Migranti e Ong. L’Italia si è fregata da sola

Pubblicato il 7 Luglio 2017 alle 15:39 Autore: Claudio Lombardi
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DAL BLOG: Migranti e Ong. L’Italia si è fregata da sola

Più si va avanti e più i nodi vengono al pettine. Con le migliori intenzioni, cioè a patto che fossero ridistribuiti i migranti, l’Italia ha accettato che le missioni di salvataggio e pattugliamento nel Mediterraneo facessero capo al nostro Paese e che gli sbarchi si concentrassero nei nostri porti. L’accordo non contemplava, però, il ruolo delle Ong che, negli ultimi due anni, hanno esteso il raggio della loro azione in maniera del tutto autonoma e tuttora opaca. Non a caso il regolamento, sul quale sembra si sia raggiunto un consenso europeo, vieta di spegnere il transponder e di effettuare segnalazioni luminose oltre che di accettare la presenza a bordo di agenti di polizia e di rendere noti elenchi degli equipaggi e bilanci.

Tutti elementi che fanno pensare male perché se c’è bisogno di precisarli vuol dire che i motivi per sospettare un qualche tipo di collaborazione con i trafficanti c’erano. Nella migliore delle ipotesi vuol dire che le Ong hanno messo in atto, dietro la bandiera dei salvataggi, una loro politica della migrazione trattando l’Italia come un terminale obbligato ad accogliere e a sopportare spese e disagi senza poter decidere nulla.

In pratica, l’Italia da un lato si è vincolata con le missioni di salvataggio nel Mediterraneo; dall’altro è stata trattata come un paese a sovranità limitata sia dagli stati europei che hanno chiuso le frontiere ritardando o rifiutando le ricollocazioni, sia dalle Ong che hanno governato gran parte dei flussi dei migranti.

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Tutto ciò premesso si può dire che l’Italia si è fregata da sola? Sì, si può dire e bisogna chiedersi perché.

La prima risposta è che in politica, sia interna che estera, la retorica serve solo come marketing. Chi crede troppo nella retorica rischia di non vedere la realtà. Altri paesi europei la realtà l’hanno vista molto bene e, al momento opportuno, hanno piazzato la ragion di Stato di fronte a tutto. Spagna, Francia, Austria, Svezia; persino la Germania del milione di rifugiati in un anno. Tutti hanno posto limiti invalicabili e non c’è stato niente da fare. Hanno persino imposto il pagamento alla Turchia di sei miliardi di euro per fermare il flusso dei migranti via terra (anche l’Italia paga la sua parte!).

A Ventimiglia la polizia francese rimanda in Italia persino i minori non accompagnati. Il nostro Paese, a un certo punto, è diventato il “vaso di coccio tra vasi di ferro”. Ed ecco il ruolo della retorica umanitaria, buonista, caritatevole. Ecco la voce del Papa levarsi alta invocando l’accoglienza indiscriminata. Ecco le minoranze rumorose sempre pronte ad impegnarsi in nome dei sacri principi di giustizia universale, ecco le recriminazioni contro le eterne colpe dell’Occidente. Questa melassa ha avviluppato il dibattito pubblico nascondendo la realtà. La tipica debolezza dei governi italiani sempre alle prese con la mancanza di una legittimazione popolare piena ha fatto il resto; ne vedremo delle belle col ritorno al proporzionale.

La realtà era ed è che la stragrande maggioranza dei migranti si muove per ragioni economiche. La fuga dalla guerra in Siria ha permesso l’esplosione della retorica umanitaria e ha coperto un fenomeno di tipo ben diverso. Quando milioni di persone si muovono verso l’Europa da varie parti del mondo non sono attratte dalla nostra cultura, dalla libertà, dalla democrazia. Vogliono semplicemente una vita più agiata e, quindi, cercano innanzitutto il denaro. Sì proprio quel denaro che è il fulcro intorno al quale gira la rappresentazione che il mondo occidentale diffonde su di sé nel mondo.

Il divario fra i guadagni che un giovane può realizzare nei paesi di provenienza della maggior parte dei migranti e quelli possibili in Europa anche con lavori modesti è la più grande forza di attrazione che ci possa essere. La libertà e la tutela dei diritti interessano loro non per assimilare la nostra cultura, ma perché fanno sperare nella soddisfazione delle proprie aspettative con la certezza di ingiustizie e sofferenze minori di quelle del paese di provenienza.

Se questa è la realtà l’Italia deve decidere se riconoscerla o no. È vero che nessuna migrazione è mai stata fermata, ma è decisivo decidere se governarla o subirla. Certo se diamo retta alla predicazione papale dovremmo aprire le nostre case e dividere i nostri beni con chiunque decida di venire a stabilirsi qui. Una predicazione che se fosse trasposta dal piano morale a quello politico porterebbe ad una rivolta popolare in pochissimo tempo.

Dunque la parola è alla politica. Tardivamente l’attuale governo sta cominciando a fare un discorso serio. Ora si tratta di non oscillare; mostrando quel minimo di fermezza intorno alla propria ragion di Stato che è giusto avere. Noi non possiamo permetterci di accogliere ogni anno 200mila persone. È ora che il governo lo dica chiaro e forte.

Quindi dobbiamo frenare gli arrivi intervenendo sia in Libia che nei luoghi di provenienza. Dopo anni di disinteresse sembra che l’Europa abbia deciso di muoversi e bene ha fatto il governo italiano a prendere l’iniziativa in Libia oltre che a proporre formalmente la nuova strategia europea (Migration compact). Così come bene ha fatto ad accendere un faro sulle Ong. L’obiettivo deve essere tagliare gli arrivi e quindi tagliare le partenze cominciando con vietare il trasbordo dei migranti davanti alle coste libiche e pagare tribù e paesi di provenienza perché trattengano i migranti lì. Servono soluzioni strategiche e soluzioni immediate.

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