Rischi fatali. Per il Pd

Pubblicato il 19 Settembre 2010 alle 22:02 Autore: Livio Ricciardelli
Rischi fatali. Per il Pd

“Il soccorso rosso” sarà meno grave e meno pericoloso del “biennio rosso”, ma senza dubbio oggi come oggi appare come un’incognita per gran parte dei protagonisti della scena politica nostrana.

Pare sia stato Silvio Berlusconi nel corso di una riunione con i suoi fedelissimi a Palazzo Grazioli (niente Palazzo Chigi: oramai la parabola berlusconiana appare sempre più come una faccenda privata) a bearsi di un presunto “soccorso rosso” giunto dall’altra parte dello schieramento in favore del governo.

In un’estate avvelenata per la politica italiana e nel bel mezzo della diatriba politico-personale tra Berlusconi e Fini, agli occhi del Cav. i  malumori e qualche dissapore in casa Pd sono come un buon augurio e come un’occasione per il centrodestra di risalire la china. Tra qualche scampagnata a Taormina e qualche fantomatica festa di “Noi Sud” (vi prego: spiegatemi le differenze ideologiche tra l’Mpa di Lombardo e il movimento della Poli Bortone!?!).

Senza dubbio le acque sono agitate in casa Pd. Le frizioni sono ad un livello altissimo anche se, memori dei precedenti dissapori ai vertici del Partito, per quanto riguarda lo spirito unitario la situazione non è mai stata limpidissima all’interno del principale partito del centrosinistra.

In una prima fase questi dissapori erano emersi alla luce di un finto unanimismo nei confronti della leadership di Walter Veltroni (anche se qualcuno sostiene che le altre candidature nelle primarie del 2007 furono pilotate da registi che in realtà formalmente sostenevano l’allora sindaco di Roma), in una seconda fase, dopo il meritorio aperto scontro congressuale Bersani-Franceschini-Marino, questo virus comunque non risulta scomparso.

E allora ecco che Walter Veltroni presenta un documento firmato da 75 parlamentari del Pd (circa un quarto dei gruppi parlamentari nazionali) in cui si chiede discontinuità nella guida del partito. Una discontinuità per risolvere un’anomala situazione: il Pd, secondo gli istituti demoscopici, si attesta ad una percentuale inferiore al 25%. E nel momento di maggiore difficoltà per il centrodestra.

Cristallizzando una situazione, che in realtà va avanti da due anni, in cui alla lenta erosione del consenso berlusconiano non corrisponde un aumento dei consensi nei confronti dell’opposizione di centrosinistra.

Molti criticano la presa di posizione di Veltroni. Secondo alcuni colui che promise, all’indomani delle sue dimissioni, “di non fare agli altri quello che hanno fatto a me”, riscopre il vecchio viziaccio del correntismo. Che, come oramai è noto, è una parolaccia nel vero senso del termine.

Ma è soprattutto sul piano politico che pesa la decisione di Veltroni, Gentiloni e Fioroni (i principali promotori del documento): Dario Franceschini pur dichiarandosi d’accordo con gran parte del documento non apprezza il modo con cui sono state rivendicate queste tesi. Perché nel bel mezzo della crisi del centrodestra il Pd deve essere e apparire unito agli occhi degli italiani.

Una frattura dunque si è delineata all’interno della minoranza del Pd (anche se non tutti i 75 firmatari sostennero al congresso e alle primarie l’alternativa a Bersani rappresentata da Franceschini) e qualcosa sembra essersi rotto politicamente tra Veltroni e Franceschini, considerato da malevoli voci di corridoio come “un bersaniano doc”.

Mentre dai vertici del partito si utilizza l’opinabile scelta di trattare il tema alla stregua di qualche generica metafora piacentina, la discussione impazza sui social network e coinvolge e indigna gran parte della base.

Sarebbe miope non considerare che agli occhi di molti elettori di centrosinistra la scelta di Veltroni, per quanto possa essere giusta o sbagliata, non dà una buona immagine del Pd: per anni i litigi sono stati condannati da gran parte della base e ancor peggio non si vuole arrivare, nel campo del centrosinistra, ad un livello di scontro pari a quello tra Berlusconie e Fini.

Veltroni vs Bersani? No, grazie! Veltroni vs D’Alema? Anche peggio…

Ma la situazione proprio perché discussa merita una analisi oggettiva, non parziale e capace di comprendere le reali motivazioni dei soggetti in campo. Cercando di accantonare, almeno per un attimo, vecchi rancori o squallide partigianerie.

E, inutile dirlo, cercando di non considerare minimamente le dichiarazioni dei vari Letta, Bindi e D’Alema della situazione che si lamentano della tattica di logoramento in atto. Quella tattica di logoramento di cui loro stessi sono maestri e che hanno avuto modo di inaugurare da tempo in casa Pd dopo anni e anni di esperienza accumulata nei vari partiti in cui hanno militato cercando sempre di favorire la frammentazione politica e la disunità, nel nome di quella che un illuminato politologo definì “la sinistra trash” che non emoziona, non riforma e, quando meno te lo aspetti, si scopre anche pericolosamente massimalista!

E allora se al tempo stesso la lettera di Veltroni forse indigna e se riporta ad una qualcosa che non vorremmo mai più vedere, è anche molto utile fare un ragionamento complementare.

E allora ci si chiede: indipendentemente da Veltroni, da Bersani, da D’Alema e dai Tafazzi vari, ha senso parlare di unità quando si rischia di prendere il 24,6%? Non è forse la mancanza di questa base, che porterebbe oggi come oggi il partito al minimo storico, che sprona a compiere gesti che poi, tramite una lettera, appaiono comprensibili nel sua essenza?

In ogni caso si sconsigliano alzate di spalle.

Nel suo ultimo libro “La sfida” Sergio Chiamparino centra un punto focale: dopo le elezioni regionali Bersani forse avrebbe dovuto “drammatizzare” la sconfitta subita alle regionali. Non certo perché, come l’ombra di Patroclo, si intende condividere malignamente dolori e sconfitte in comune. Ma solo perché questo avrebbe dato una scossa al partito in una delicata fase politca.

Non solo non lo si è fatto, ma addirittura si è negata la sconfitta che è stata una batosta di inenarrabili dimensioni per il Pd e per il centrosinistra tutto!

Da una parte dunque si chiede di più, dall’altra si chiede unità.

Occorre conciliare l’esigenza di mutamento politico all’esigenza interna di non essere derisi per l’ennesima volta dall’elettorato.

Difficile capire quanta unità serva e quanto mutamento nella linea politica. E’ una cosa che forse sanno in pochi in qualche ufficio di partito.

E ciò è proprio uno dei motivi della crisi del Partito Democratico.

Crisi. Ma anche di rischi è fatta la vita.

E allora, indipendentemente dallo spirito della lettera e dallo spirito della risposta alla lettera, quale è la divergenza politica tra Veltroni e Bersani?

Il tema delle alleanze? L’idea di Pd? La vocazione maggioritaria dipinta come autosufficienza?

All’interno del Partito emergono due idee quasi opposte e inconciliabili di Partito. Non tanto sui programmi. Non tanto sull’economia, sulle risposte da dare alle famiglie che non arrivano alla fine del mese o alle soluzioni da dare ai precari della scuola e a i genitori imbufaliti per i tagli della Gelmini. Ma su una presunta idea di partito.

Due idee opposte, inconciliabili e che si pongono al di sotto di qualsiasi dibattito politico degno di questa nome.

Una tristezza.

Si consiglia di decidere una volta per tutte quale idea di partito il Pd portare avanti. Si risolva un problema identitario che nessun segretario è riuscito a risolvere dopo quasi tre anni dalla fondazione del partito.

E si ricordi che i valori costituzionali, per noi imprescrittibili, possono essere fagocitati da un vortice di dimensioni europee.

Bisogna ricordarsi che altri partiti del centrosinistra europeo hanno avuto simili problemi di identità. Come il Pd.

Alcuni lo hanno risolto “salvando” il partito e tornando allo spirito originario (vedi i liberali tedeschi).

Altri molto più semplicemente sono diventato partiti xenofobi.

Il Pd deve scegliere quale delle due strade percorrere. Tutto qui.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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