Mafia Capitale, Sabella: “In Italia impossibile cacciare corrotti e incapaci dalla PA. Sindacati non difendano lavoratori a prescindere”

Pubblicato il 6 Giugno 2015 alle 11:02 Autore: Antonio Atte
alfonso sabella

Se c’è un caso che esemplifica in maniera perfetta il connubio, la simbiosi tra criminalità e burocrazia corrotta, questo è rappresentato proprio dall’inchiesta di Mafia Capitale. Lo scandalo giudiziario che, tra una retata e l’altra, sta demolendo apparati e credibilità della politica capitolina, è anche un’occasione per riflettere sullo stato di salute (pietoso) del nostro sistema amministrativo e burocratico, incapace – perché impossibilitato – di allontanare i suoi elementi peggiori e di rigenerarsi.

Lo dice chiaro e tondo in un’intervista a La Repubblica Alfonso Sabella, assessore alla legalità del Comune di Roma con delega sul litorale di Ostia. Tutti i burocrati indagati per Mafia Capitale “sono ancora dirigenti del Comune, anche se non nello stesso posto dove avrebbero commesso gli illeciti”, afferma l’ex sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo guidato da Gian Carlo Caselli.

Nel commentare la nuova ondata di arresti legati all’inchiesta su Mafia Capitale, Sabella cita un aneddoto raccontatogli da Pier Camillo Davigo ai tempi di Tangentopoli: “Se io invito a casa un amico e vedo che si porta via l’argenteria, io non aspetto la sentenza passata in giudicato per non invitarlo più a pranzo. Ecco – prosegue Sabella – con il sistema normativo che abbiamo in Italia, se io mi accorgo che un determinato dirigente non fa bene il suo lavoro o è corrotto, non posso fare nulla, lo devo tenere, è arduo persino trasferirlo”.

Secondo Sabella, occorre “modificare la legge, dare alla pubblica amministrazione la possibilità di non invitare più a pranzo i dipendenti di cui non si fidano, che hanno commesso irregolarità o sono incapaci. E se finisce in carcere, non deve ricevere lo stipendio”.

“Il Parlamento – sottolinea l’ ex pm antimafia – deve mettersi una mano sulla coscienza e dotare la pubblica amministrazione dei poteri necessari per combattere la corruzione che è il carburante delle bande criminali”.

Sabella: “Sindacati non difendano lavoratori a prescindere”

Concetto ribadito a margine di un convegno presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio: “Io credo che ci voglia un po’ di laicità nell’affrontare le cose. Sindacato, non difendere a prescindere il lavoratore. Qualche lavoratore che sbaglia c’è pure”.

“Se io, amministrazione, lo mando via e lo sposto da un’altra parte – ha aggiunto Sabella – non sempre lo faccio perché questo si è venuto a fare la tessera sindacale da te e tu hai la sigla che lo difende. Io lo faccio perché, magari, questo ha fatto degli atti che sono delle porcherie. Poi tu, organizzazione sindacale, quando questo me lo arrestano, dove sei?”.

Sabella se la prende anche con la magistratura, che “per anni su certe cose non ha indagato, ha guardato dall’altra parte. Perché se un sistema si realizza in questo modo – ha concluso – vuol dire che molti non hanno fatto il proprio dovere, e sono in tutte le categorie, non c’è una categoria più sana di altre”.

Per Sabella, la Capitale avrebbe bisogno “di un anno zero” per guarire: “Lascia l’amaro in bocca vedere che a Roma la politica si è venduta per un piatto di lenticchie: gente che per mille euro al mese ha tradito la fiducia di migliaia di cittadini”, conclude l’assessore.

alfonso sabella

Castiglione: “Non mi dimetto. Viminale garantì per Odevaine”

Sempre su La Repubblica, il sottosegretario all’agricoltura Giuseppe Castiglione, indagato nell’ambito dell’inchiesta sul Cara di Mineo, esclude l’ipotesi di dimissioni: “Non c’è motivo perché lo faccia. Non so di cosa mi si accusi se non dai giornali. La Procura ha tutto il mio sostegno e fa bene a indagare, ma io non ho nulla da rimproverarmi e posso fornire tutte le informazioni utili per fare luce sulla vicenda”.

Quanto ai rapporti con Odevaine, Castiglione afferma che nel luglio 2011, in piena emergenza immigrazione, “chiedo garanzie su di lui al Viminale e le ottengo, anche se non è ascrivibile alla mia parte politica, militavo nel Pdl”. “L’ho chiamato al tavolo tecnico nazionale per l’emergenza senza conoscerlo”.

“Oggi – spiega Castiglione – mi sento tradito, almeno quanto Zingaretti, Veltroni e quanti hanno lavorato con lui. Con lui solo rapporti istituzionali, si figuri che gli ho delegato i rapporti con la prefettura e le forze dell’ordine. A pranzo credo di esserci pure stato. Ma non certo per parlare di appalti”.

Castiglione è indagato – insieme ad altre cinque persone – per turbativa d’asta per l’affidamento della gestione del centro d’accoglienza: “Io non ho lavorato di certo per alcun consorzio – assicura – né ho fatto mai parte di commissioni di gara. E Odevaine non ha concordato con me un percorso preferenziale per alcun raggruppamento di imprese”.

Meloni attacca Marino, Pisapia lo difende

Intervenendo sul quotidiano di Roma Il Tempo, la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha attaccato duramente il sindaco della Capitale: “La testarda ostinazione con cui il Pd sta difendendo Ignazio Marino, unita alla faccia tosta con la quale quest’ultimo continua a fare lo scaricabarile (e a negare persino l’evidenza), rischia di precipitare la capitale nel baratro dello scioglimento per infiltrazione mafiosa. Un’onta che Roma non merita”.

Il Prefetto Gabrielli, continua Meloni, “dice che la relazione degli ispettori ministeriali ha già superato le 700 pagine”. “Solo uno sprovveduto o un irresponsabile può pensare che tutte quelle pagine servano per dimostrare l’estraneità” del Comune. “Oppure il Pd ha già deciso che l’autocrate Renzi respingerà in Consiglio dei Ministri la richiesta di scioglimento. Perché la vera paura del Pd, anche a discapito dell’interesse dei romani, è di perdere rovinosamente le successive elezioni. Un sindaco serio e onesto non potrebbe tollerare un solo altro minuto di restare su una poltrona”, ha aggiunto la Meloni.

Per Marino, intanto, è arrivata una formale diffida da parte del Codacons, che ha intimato al sindaco di “procedere all’immediato azzeramento della giunta capitolina con un vero e proprio rimpasto e con l’inserimento di personalità nuove anche esterne e giri di deleghe anche pesanti, nell’ottica di garanzia di certezza giuridica, correttezza e trasparenza della P.A., alla luce dei fatti così come ricostruiti nell’inchiesta della Procura di Roma”.

Giuliano Pisapia, invece, ha speso parole di incoraggiamento per il suo collega romano: “Sarebbe il colmo che uno debba lasciare il posto, dopo essere stato eletto, per fatti che nella stragrande maggioranza derivano da una cultura che non riguarda certo l’amministrazione Marino”, ha detto il primo cittadino milanese a margine dell’assemblea regionale di Anci Giovani Lombardia.

L'autore: Antonio Atte

Classe '90, stabiese, vive a Roma. Laureato al DAMS con 110 e lode, si sta specializzando in Informazione, editoria e giornalismo presso l'Università degli studi Roma Tre. E' appassionato di politica, cinema, letteratura e teatro. Mail: antonio.atte@termometropolitico.it. Su Twitter è @Antonio_Atte
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