Il senatore democratico Esposito: “Civati e Puppato, che ci fate nel Pd?”

Pubblicato il 26 Luglio 2013 alle 14:53 Autore: Redazione

Il senatore democratico Esposito: “Civati e Puppato, che ci fate nel Pd?”

Due giorni fa, Termometro ha dato notizia della lettera anonima di minacce indirizzata al senatore del Pd Stefano Esposito (“La tua vita non vale niente”), fervente sostenitore del progetto TAV. A distanza di poco tempo, il senatore democrat ha risposto alle 5 domande del settimanale L’Espresso (in pieno stile Repubblica), a cura di Piergiorgio Paterlini. Il botta e risposta tra il giornalista e il parlamentare ha segnalato le enormi difficoltà che sussistono all’interno del Partito Democratico, diviso tra i sostenitori delle larghe intese e la minoranza che ritiene di fare seguito a un rifiuto di tale compromesso da parte della base del partito.

Esposito si oppone all’idea del “centralismo democratico”, un vecchio retaggio del Pci degli anni ’50 che sopprime la dialettica interna (Paterlini dixit), tuttavia si dice favorevole alla “disciplina interna di partito”. E riporta l’esempio virtuoso del senatore Felice Casson: “Per capire quale considero essere il comportamento corretto nel caso della mozione di sfiducia ad Alfano, le cito il Senatore Casson: ha dissentito all’interno del gruppo, ha preso atto del voto della maggioranza dei Senatori del Pd, è intervenuto in aula mantenendo il suo dissenso, ma annunciando che votava come il gruppo aveva deciso. Per disciplina. Quella disciplina e quel senso di appartenenza che manca ai neo-rivoluzionari e ai cripto-grillini presenti nel Pd. Come ha ben detto Bersani non molto tempo fa il partito non può essere uno spazio politico dove ognuno si posiziona come meglio crede, ma deve essere un soggetto politico”.

Esposito poi rincara la dose e bersaglia senza scrupoli due esponenti e colleghi democratici: “La Puppato come Civati dall’inizio di questa legislatura hanno dissentito da quasi tutti i provvedimenti decisi dai gruppi. Allora sono io che faccio loro una domanda: ma che ci stanno a fare in un partito di cui non condividono niente, e di cui non accettano neppure le regole minime? E’ tollerabile che Civati qualche tempo fa sia venuto nell’Alessandrino a sostenere un candidato locale non del Pd? E’ accettabile che Laura Puppato sia venuta in Valle di Susa a fare da sponda al movimento No Tav incurante delle posizioni in materia del Pd torinese e piemontese?”.

Ma l’Esposito-pensiero non si arresta qui: “L’ho detto e lo farò. Sono cresciuto con l’idea che all’interno di un’associazione di persone, e i partito questo sono, esistono delle regole di base che regolano la convivenza. Se queste regole non sono condivise o addirittura non vengono accettate a priori non esiste alcuna associazione. Nello specifico, un gruppo parlamentare si riunisce, discute, ognuno esprime la propria opinione e, alla fine, si vota e tutti si devono attenere alle decisioni assunte, anche chi non si trova in accordo con le conclusioni della maggioranza. In questi anni mi è capitato più di una volta di dissentire dalle decisioni della maggioranza, ma mi sono adeguato alla cosiddetta disciplina di partito, perché so che è la prima regola dello stare insieme. Quanto avvenuto durante l’elezione del Capo dello Stato, con Marini e poi con Prodi, è stata la plastica dimostrazione di cosa succede se non ci si attiene alle decisioni prese”.

Purtroppo il senatore Esposito dimentica che tra i 101 franchi tiratori che hanno silurato la candidatura al Quirinale di Prodi non sono annoverati i nomi  degli “integralisti” Civati e Puppato ma lo zoccolo duro del partito di cui fa parte, quello che ha continuato a dialogare a oltranza con il Pdl. Poi ammette che la mancata sfiducia del ministro Alfano è stata la scelta più salutare per la stabilità del nostro paese.

Tra moltissimi parlamentari democratici, sembra che il dissenso si misuri in base alla volontà del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano – autore principale della trama di questo governo – in luogo di quella degli iscritti al partito. Esposito conferma di fatto questo imprescindibile presupposto politico ma sbaglia clamorosamente quando dice che “se uno crede che la Tav o l’alleanza di Berlusconi siano questioni di vita e di morte o è grullo o è fanatico”. La morte in ballo è quella politica del Pd.

 

Fabrizio Neironi

L'autore: Redazione

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