Il simbolo del Nuovo centrodestra? Più anonimo che mai

Pubblicato il 6 Dicembre 2013 alle 18:29 Autore: Gabriele Maestri
Ncd vuole cambiare nome, Alfano simbolo del Nuovo centrodestra

Il simbolo del Nuovo centrodestra? Più anonimo che mai

L’aveva detto fin dai primi vagiti della sua “creatura politica”, Angelino Alfano: il 7 dicembre doveva essere il giorno della prima grande manifestazione del Nuovo centrodestra e lì avrebbe presentato l’immagine con cui “mettere la faccia” alle prossime elezioni, a partire dalle europee.

Ieri invece è stato lo stesso Ministro dell’Interno a presentare al Tempio di Adriano alla stampa e ai militanti il simbolo del nuovo gruppo, diffondendolo anche sul web attraverso il suo account di Twitter ed esponendolo così alle reazioni di simpatizzanti e operatori dei media.

Chi ha guardato con attenzione l’emblema, in molti casi è rimasto perplesso. Dopo il tentativo del Movimento per Alleanza nazionale di recuperare il simbolo storico della “vecchia” An, con tanto di fiamma tricolore, in molti erano curiosi di vedere in quale immagine, disegno, emblema gli ex Pdl vicini ad Alfano avrebbe cercato di riassumere l’identità di questo nuovo soggetto politico che di fatto sembra avviato a giocare come “seconda punta” nello schieramento di centrodestra (accanto a Forza Italia) al prossimo appuntamento elettorale.

La metafora calcistica non è fuori luogo, visto che ieri lo stesso Alfano ha detto: “Ci mancava la maglia, il colore della maglia di questa squadra: abbiamo scelto un colore bellissimo, il colore del nostro simbolo”. Il colore c’è, ma per il resto non c’è niente. Neanche un disegnino che faccia pensare a un’idea, un progetto. Si legge solo la sigla della nuova formazione, con le iniziali N e C contenute in negativo in un quadratino sfumato blu scuro e la D fuori: forse non è solo una scelta geometrica, quasi che si volesse dire, tra le righe, che l’essenza del partito sta più al centro che a destra. Anche se la destra c’è e si fa sentire

Il vicepremier ha provveduto a dare una specie di “interpretazione autentica” dell’emblema: “Abbiamo scelto la forma geometrica del quadrato perché sin dalle origini, dalla storia, il quadrato ci dice che i lati sono tutti uguali e questo richiama al principio di uguaglianza che richiama il principio della giustizia, perché il nostro è il movimento politico del merito, di chi ha consenso e sta nel territorio”. Quanto al blu, è una tinta che “dà forza, è la forza del mare, è il colore del cielo, della serenità, di chi ha la forza e la voglia di combattere e lottare. E’ il colore che serve all’Italia”.

Chiunque abbia disegnato il logo del Centrodestra nazionale non sembra quasi avere avuto la commissione da un partito, e non solo perché il segno non nasce rotondo (anche se  può essere inserito in un cerchio). Quello presentato ieri, in realtà, sembra il marchio di uno studio professionale o di comunicazione (poco estroso), di una tv o di un’azienda di servizi: non si piega alla moda tricolore e dell’azzurro, ma non si riesce a vedere un briciolo di identità in questo segno distintivo.

Il fuorionda di Cicchitto e Lupi sul simbolo

Non a caso, la soluzione grafica scatena l’ironia tagliente degli ex compagni di strada (“Sembra il modulo per la dichiarazione dei redditi. Stesso grafico degli F24” scrive su Twitter Daniele Capezzone), ma anche i dubbi di chi è partito all’avventura, come Fabrizio Cicchitto, beccato dalle telecamere mentre confida che “è troppo scuro quel blu, un blu quasi nero” (prontamente rassicurato da Maurizio Lupi: “No no, nel logo non viene così, è il ragazzo che lo voleva più blu”, prima di accorgersi che una telecamera malandrina lo stava riprendendo”).

In rete va anche peggio: i commenti positivi si trovano col lanternino, quelli negativi fioccano. Sotto accusa soprattutto la mancanza di fantasia nell’elaborazione grafica e l’assenza di elementi di riconoscibilità politica: “Spero che non abbiate ancora pagato il grafico” è uno dei commenti più impietosi letti sul web. Non hanno torto: magari la piazza e le urne diranno qualcosa di diverso, ma se non ci fosse il nome del partito in basso, a scambiare il simbolo con il marchio di un’azienda farmaceutica o di una casa editrice ci vorrebbe davvero poco.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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