Genova, il PD e la sindrome delle primarie
[ad]Analizzate le cause generali e particolari che hanno determinato l’esito delle primarie a Genova, resta la domanda di fondo: il PD ha perso le primarie? Il fatto costituisce un problema?
La risposta a questa domanda è complessa e certamente non scontata, ma soprattutto dipende da quali sono i reali obiettivi che il partito si pone. Se ci si limita all’espressione del sindaco, è chiaro che l’incapacità del Partito Democratico nel trovare candidati vincenti è un grave problema, e non è sbagliato affermare che così facendo il PD si trasforma in un mero corriere in grado di portare alla ribalta esponenti di altri partiti di centrosinistra, soffocando la spinta interna.
È tuttavia sbagliato ritenere le primarie uno strumento tramite cui SEL e IdV lanciano continue e progressive OPA sul PD, ancora più sbagliato se si guarda ai risultati delle amministrative del 2011 ed in particolar modo a Milano. Nel capoluogo lombardo il Partito Democratico ottenne un risultato che si può definire a dir poco strabiliante, e costituisce l’asse portante della forza di governo di Pisapia.
Seppure gli elettori PD hanno dato fiducia ad un candidato non espresso dalla dirigenza, non hanno per questo abbandonato il partito; anzi, sarebbe più corretto interpretare il risultato di Milano come un premio, un segno di affetto e fiducia verso una formazione in grado di accettare un candidato potenzialmente sgradito ma scelto dalla base e di sostenerlo adeguatamente durante la campagna elettorale.
Le critiche interne al PD e alcuni editoriali che oggi vedono in Genova una sorta di Caporetto democratica si limitano probabilmente alla pura questione numerica dell’espressione del sindaco; si dimenticano tuttavia che il programma realizzato da tale sindaco sarà comunque un programma compatibile con quello del PD; soprattutto, dimenticano che il consenso e il gradimento si misurano in numero di voti, non in numero di sindaci, e fino ad ora dove il PD ha accettato il verdetto delle primarie – per quanto sgradito – è stato poi premiato alle urne.
Quanto al problema di selezione dei candidati, il paradosso è che il PD vive come un problema ciò che ne è in realtà la soluzione: accettando il meccanismo delle primarie, il PD di fatto delega al proprio elettorato la scelta dei candidati, lasciando al partito il semplice compito di fare delle proposte e di accettare esponenti di altre formazioni o della società civile valutandone le affinità programmatiche.
Prendere atto che una persona di un altro partito – o non iscritta a partiti – viene considerata migliore di un nome espresso dal partito non deve essere considerato espressione di debolezza, di incapacità o peggio ancora di perdita di influenza e consenso. Al contrario, è al momento la migliore espressione in Italia di trasparenza, democrazia e coinvolgimento dell’elettorato.
Tanto rumore per – quasi – nulla.