Legge di stabilità, Renzi difende la manovra

Pubblicato il 18 Ottobre 2014 alle 12:37 Autore: Riccardo Bravin

Continua il braccio di ferro mediatico sulla legge di stabilità fra Matteo Renzi e i presidenti delle regioni capitanati da Sergio Chiamparino.

RENZI – Al tg1 il premier difende le ragioni del patto di stabilità spiegando di non voler assolutamente evitare il confronto con nessuno, specialmente con i presidenti delle regioni ma nello stesso tempo punzecchiando chi all’interno delle regioni critica la sua manovra. Per Renzi infatti le regioni dovrebbero fare la loro parte perché “hanno qualcosa da farsi perdonare”. Il premier continua spiegando: “Sono 20 anni che i sacrifici li fanno solo le famiglie, ora è tempo che li facciano altri, a cominciare dai ministeri e dalle regioni”.

PADOAN – Renzi poi spiega la differenza fra il taglio che avrebbe in mente con la manovra e l’eliminazione indiscriminata ai servizi essenziali: “una cosa è tagliare i servizi sanitari, che sarebbe inaccettabile, altra cosa è dire che magari si fa qualche Asl in meno o qualche primario e aiuto primario in meno o che magari il costo delle siringhe o delle attrezzature ospedaliere è uguale dappertutto. Ecco, tagliare i servizi mai, tagliare gli sprechi sempre”. A dar man forte al premier Renzi sulla manovra ci pensa anche Pier Carlo Padoan che su La7 ad ‘Otto e mezzo’ ha dichiarato: “La manovra è del Paese e quindi il Paese in tutte le dimensioni contribuisce. Siamo pronti assolutamente a discutere ma nel disegno dei saldi. Poi come si raggiunge la cifra è da discutere nelle regioni e nei comuni così come sono stati i singoli ministeri a decidere”.

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MARONI CRITICO – Polemico con Renzi invece Roberto Maroni, che paventa il rischio di un collasso per la sanità in Lombardia a causa dei tagli previsti. “Noi avremo 930 milioni in meno, di cui 730 nella Sanità, e siamo già ridotti all’osso perché la Lombardia ha tagliato i costi negli anni passati. Con questa riduzione per garantire livelli essenziali, bisogna chiudere gli ospedali”. Per Maroni la conseguenza dei tagli previsti sarà l’innalzamento dei ticket delle imposte e dell’addizionale Irpef e Irap. Maroni, in linea con il pensiero della Lega, sottolinea le differenze di produttività fra le regioni italiane del nord e del sud: “Il taglio lineare penalizza le Regioni virtuose come Veneto e Lombardia. Ogni dipendente della Regione Lombardia costa pro-capite ai lombardi 19 euro, quello della Basilicata costa 220. La Lombardia ha dieci milioni di abitanti e tremila dipendenti. La Sicilia ha la metà degli abitanti e trentamila dipendenti. Queste sono le cose su cui intervenire”.

CHIAMPARINO – Più conciliante appare Sergio Chiamparino che parla invece di “soluzione da trovare” e si augura sia possibile un incontro con il Premier per discutere dei tagli: “Da Renzi andiamo con delle proposte concrete, che non toccano i quattro miliardi ma che li articolano in modo tale da consentire di reggerli. La polemica è inevitabile, ma è indispensabile un incontro per raggiungere l’obiettivo. Noi da una parte abbiamo sollevato il problema, dall’altra abbiamo cercato la soluzione, che è complessa.” Intervistato da La Stampa in merito al suo rapporto con Renzi, Chiamparino che fu un renziano della prima ora usa toni distensivi rispetto alla polemica in corso. “Non c’è alcuna rottura politica tra le regioni e il presidente del consiglio. Lui ha fatto una manovra che punta a rimettere in circolazione tutta una serie di risorse, e noi siamo perfettamente d’accordo: è la strategia giusta”. Tuttavia Chiamparino avverte Renzi: “La manovra propone per le Regioni cose impossibili. L’aritmetica gli dà torto, e l’aritmetica non è di destra o di sinistra, non gufa o sta col premier”.

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ROSSI E SERRACCHIANI –  E se Matteo Richetti – che ormai può essere considerato un “ex renziano di ferro” – parla di “rischio incostituzionalità” per il Tfr in busta paga, Debora Serracchiani, presidente del Friuli, appoggia la lotta del premier agli sprechi: “Questo scontro frontale sa di ritorno al passato. Non serve ai cittadini nè al Paese. Ciascuno di noi governatori sa che amministrare una regione non è facile. Ma ciascuno deve ammettere che si possono ancora ridurre gli sprechi, intervenire sulle società partecipate, riqualificare la spesa sanitaria. Si può fare una sanità migliore a costi minori”. Della sanità parla anche il governatore toscano Enrico Rossi che, intervistato dal Sole 24 Ore, propone una soluzione: “Non sarebbe uno scandalo far pagare di più chi ha redditi alti su tutte prestazioni sanitarie. Che so, 2mila euro se la prestazione ne costa 20mila. O non esentare un pensionato benestante. Chiamiamolo pure un superticket per i ricchi: siamo in emergenza, salveremo la sanità pubblica e chi ha più bisogno”.

SINDACATI – Perplesse le sigle sindacali. Anna Maria Furlan, nuova leader della Cisl che, intervistata dal Messaggero, considera inaccettabile il blocco dei contratti dei dipendenti pubblici: “Sono cinque anni che non si rinnova: la perdita per ogni lavoratore è tra i duemila e i cinquemila euro all’anno. Non si può certo pensare che basti il riconoscimento economico delle progressioni di carriera individuale”. Non meno critica Susanna Camusso, leader Cgil: “Non credo davvero che una legge di stabilità che distribuisce risorse alle imprese, senza porre alcun vincolo per cui queste risorse siano destinate a investimenti e innovazione, sia espansiva. Quel che è certo, invece, è che si tratta di una manovra che non mette al centro il lavoro e la creazione di lavoro, ossia proprio quello di cui l’Italia ha più bisogno”.