INTERVISTA Besostri: “Elezioni europee, alla Consulta contro la soglia”

Pubblicato il 14 Aprile 2015 alle 21:22 Autore: Gabriele Maestri
elezioni europee felice besostri

All’inizio di gennaio del 2014 la Corte costituzionale aveva smontato due dei punti chiave della legge elettorale politica. A distanza di quasi un anno e mezzo, la Consulta è chiamata a esprimersi su uno dei punto di criticità di un’altra legge elettorale, quella per le elezioni europee: sotto accusa, questa volta, la soglia di sbarramento al 4%.

A presentare il ricorso e a discuterlo stamattina davanti alla Corte, con la collega costituzionalista Anna Falcone, è stato il principale artefice (assieme a Aldo Bozzi e Claudio Tani) del ricorso che ha affondato il Porcellum, Felice Carlo Besostri: avvocato, socialista, già senatore per l’Ulivo nella XIII legislatura, è lui a spiegarci perché, secondo lui, la Consulta dovrebbe far saltare la soglia di sbarramento e altri punti della legge elettorale per le europee.

elezioni europee felice besostri

Avvocato Besostri, per la legge che regola le elezioni europee avete parlato di Europorcellum: riscontrate gli stessi vizi colpiti dalla Corte oltre un anno fa?

Guardi, al di là del nome che abbiamo scelto, che cercava soprattutto di attirare l’attenzione della stampa, noi abbiamo trovato sostanzialmente tre profili di contrasto con la Costituzione e i trattati europei. Il primo è la soglia di accesso, di sbarramento. Secondariamente, quando abbiamo presentato il ricorso mancava totalmente una norma di riequilibrio di genere: nessuno si era accorto che la disposizione introdotta con la legge n. 90/2004, che prevedeva che un sesso fosse rappresentato in una lista al massimo in due terzi dei candidati, valeva solo per le prime due elezioni succesive all’entrata in vigore della legge, quindi la consultazione del 2014 era del tutto scoperta. All’ultimo momento si è rimediato intervendo sulle preferenze, ma teniamo conto che nelle liste non c’è nemmeno l’obbligo di una quota minima: è ridicolo avere l’obbligo di rappresentare entrambi i generi qualora si vogliano dare tre preferenze, se le norme consentono che in una lista non ci sia nemmeno una donna.

E la terza questione?

Riguardava le minoranze linguistiche, per le quali sono stabilite deroghe, ma relative solo a tre di queste, cioè quelle che c’erano nel 1979, quella slovena in Friuli – Venezia Giulia, quella tedesca in provincia di Bolzano e quella francese in Valle d’Aosta. Eppure con la legge n. 482/1989 – che conosco molto bene, essendone stato relatore in Senato – si sono riconosciute ben dodici minoranze, alcune delle quali hanno una consistenza numerica maggiore rispetto a quelle tre che la legge elettorale per le europee cita: si pensi solo ai friulani o ai sardi.

Un perfetto esempio di irragionevolezza in base all’articolo 3 della Costituzione…

Sì, anzi, qui c’è proprio una violazione diretta dell’articolo 3, visto che sono state privilegiate tre lingue minoritarie disciminando le altre.

Oggi quale vizio è stato discusso?

I ricorsi in origine erano ben sei: a Milano e Napoli si è utilizzato un atto di citazione ordinario e al momento siamo in fase di precisazione delle conclusioni. A Trieste, Cagliari, Venezia e Roma abbiamo invece scelto la forma del ricorso ex art. 702-bis del codice di procedura civile e la scelta è stata strategicamente giusta: di quei quattro ricorsi, tre hanno visto il giudice emettere un’ordinanza per sollevare la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte. Oggi, in particolare, si è discusso il ricorso legato alla soglia di sbarramento, mentre entro l’anno si discuteranno quelli di Trieste e Cagliari sulle minoranze linguistiche.

Nessuno dunque ha ancora sollevato la questione relativamente alle quote di genere, giusto?

Per ora no. Poi ci sarebbe anche la disparità di trattamento tra liste che hanno dovuto raccogliere le firme e quelle che sono state esentate da quell’obbligo, che era particolarmente pesante: pensi a 30mila firme per ognuna delle 5 circoscrizioni, tra l’altro almeno 3mila per ogni regione… se applicaa quet’ultima disposizione alla Valle d’Aosta e la vede applicata a otto liste concorrenti, significa praticamente avere già prima del voto un’idea di come quasi tutti gli elettori di quella regione intendono votare. Sono norme fatte per impedire una reale alternativa.

simboli europee 2014

Senza contare poi le conseguenze date dall’esenzione, con accozzaglie di simboli nate al solo scopo di evitare la raccolta firme.

Certo, anche se da questo punto di vista c’è un precedente positivo, visto che è stato riconosciuto che alle europee la rappresentanza che esenta dalla raccolta di firme non è solo quella data dagli eletti in Italia, ma dalla semplice presenza al Parlamento europeo del partito o gruppo parlamentare cui si fa riferimento.

Si riferisce al caso dei Verdi europei, anche se questo passo non è stato immediato…

Non è stato immediato, ma l’Ufficio elettorale nazionale della Cassazione ha riconosciuto questo punto. Ora però sono anche in grado di dire che è ora di far saltare questa soglia del 4%, perché avrebbe riflesso su due giudizi pendenti di cui ho certamente conoscenza, quelli che riguardano Fratelli d’Italia e i Verdi.

Del resto Fdi aveva sfiorato la soglia…

Già, anche se avrebbe avuto diritto a un solo seggio. Collegato a questo punto, tra l’altro, ce n’è un altro, quello della “migrazione” dei seggi da una circoscrizione all’altra: la nostra tesi è che la legge italiana, come l’Atto unico europeo, non abbia tenuto conto del cambiamento della natura del Parlamento europo dopo il trattato di Lisbona: prima gli eletti rappresentavano le popolazioni degli Stati membri, per cui ogni Stato era libero di introdurre soglie di accesso per determinare come doveva essere la rappresentanza della sua popolazione; dal 1º dicembre 2009, invece, quel Parlamento rappresenta i cittadini dell’Unione europea. Questo comporta che un cittadino europeo, a seconda del suo paese di residenza – e non di cittadinanza – può essere rappresentato o meno a seconda della scelta del singolo paese sulla soglia di accesso, che è facoltativa, variabile e nazionale. Nel nuovo sistema, in teoria, una soglia potrebbe essere introdotta solo da quella legge elettorale uniforme richiesta dall’articoo 223 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Nel frattempo, tra l’altro la Corte costituzionale tedesca ha fatto saltare la soglia di sbarramento del 3% prevista dalla propria legge per le europee.

Loro però hanno fatto valere solo un argomento di carattere interno, che tra l’altro è anche il motivo principale dell’ordinanza che ci riguarda: anche noi abbiamo messo l’argomento “europeo” come subordinato, per poi interpellare eventualmente la Corte di giustizia dell’Unione europea. In Germania c’è un articolo 38 della Costituzione, è simile al nostro art. 48, che prevede un voto generale, diretto, libero, uguale e segreto: si creava senza alcuna ragione una disparità di trattamento, perché il Parlamento europeo non deve dare la fiducia a un governo, quindi le esigenze di governabilità e non frammentazione non avevano alcuna ragione.

corte-costituzionale

Il precedente tedesco promette bene?

Beh, diciamo che nei paesi della dimensione dell’Italia la soglia di accesso è rimasta solo in Francia, ma là la soglia è circoscrizionale: con quello sbarramento, alle elezioni del 2009, il cartello l’Autonomia – con Pensionati, Mpa, Adc e la Destra – avrebbe ottenuto un seggio nelle Isole, mentre Sinistra e libertà l’avrebbe conquistato al Sud. Oggi poi ho invitato anche la Corte a considerare un altro aspetto, invitandola magari a sollevare la questione in modo incidentale: il rimborso elettorale per le europee è connesso all’elezione di almeno un parlamentare, se non si tocca nulla la soglia per l’accesso e quella per il rimborso coincidono, cosa che non è prevista invece nel Parlamento italiano e non era prevista nemmeno in Germania, visto che la clausola per le provvidenze pubbliche era molto più bassa.

Dunque un’altra applicazione dell’articolo 3.

Esattamente.

Le premesse come le sembrano, vista la discussione di oggi?

Guardi, pronostici non ne faccio. Dico solo che gli argomenti dell’Avvocatura dello Stato, al di là di quelli formali legati all’ammissibilità di un’ordinanza perché non motivata in modo sufficiente – ma credo che, in questioni importanti come queste, il giudizio della Consulta non possa tradursi nell’esame della capacità del giudice a quo di scrivere un’ordinanza – hanno portato solo ragionamenti politici, che non c’entravano nulla. Addirittura si è prospettato che, in caso di accoglimento della questione, la Corte dica espressamente che quell’accoglimento non riguarda le elezioni del 2014.

Sulla falsa riga, di fatto, di quanto detto dalla corte nella sentenza n. 1/2014 sul Porcellum…

Già, qui ci si preoccupa essenzialmente degli effetti che la sentenza potrebbe avere sui ricorsi pendenti di Verdi e Fratelli d’Italia.

Di fatto, però, un’argomentazione simile sembra un modo di pararsi le spalle, se il verdetto dovesse colpire la soglia.

Sì, di fatto sì, anche se non vedo come l’auspicio della difesa del Governo potrebbe avverarsi: teoricamente è possibile differire gli effetti della sentenza, ma non vedo che margini ci siano stavolta. Se deve andar male, la Corte può tirare fuori solo argomenti di carattere formale, il che significa che l’ordinanza può essere reiterata negli altri giudizi ancora pendenti.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
Tutti gli articoli di Gabriele Maestri →