Elezioni Regno Unito: l’incertezza regna sovrana

Pubblicato il 30 Aprile 2015 alle 11:56 Autore: Redazione

Elezioni Regno Unito: a una settimana esatta dal voto, tutto (o quasi) può ancora accadere. Giovedì 7 maggio, infatti, i cittadini britannici si recheranno alle urne per rinnovare i loro 650 rappresentanti alla Camera dei Comuni. Si tratta di uno degli appuntamenti elettorali cruciali dell’anno, che il Regno Unito sta vivendo in modo del tutto singolare.

Elezioni Regno Unito: il sistema elettorale

Recenti scossoni, infatti, hanno interrotto la storica consuetudine bipolare britannica, caratterizzata da un’equilibrata alternanza, da un sistema partitico fra i più statici e consolidati, da un sistema elettorale che permette (almeno in linea teorica) di sapere, per usare una frase in voga negli ultimi mesi, chi ha vinto e chi ha perso la sera stessa delle elezioni. Tre elementi (alternanza, sistema politico e sistema elettorale) che in realtà non possono affatto essere  considerati separatamente, in quanto rappresentano – di fatto – l’uno la conseguenza dell’altro.

Quello inglese, infatti, è per certi versi il sistema maggioritario per eccellenza: collegi uninominali, turno unico, “first pass the post” (tradotto in termini pratici: vince il seggio chi prende anche un solo voto in più rispetto al secondo, a prescindere dalla percentuale ottenuta). È inevitabile che un sistema di questo genere tenda a favorire un assetto partitico il meno frammentato possibile, con partiti grandi e stabili, solitamente in grado di ottenere una maggioranza parlamentare senza ricorrere ad alleanze. Ne consegue che di solito le due principali aggregazioni partitiche – Partito ConservatorePartito Laburista – si alternano alla guida del paese.

elezioni regno unito

David Cameron, premier uscente

Già nel 2010, però, il tradizionale assetto bipolare fu stato messo in crisi dal risultato elettorale che, pur premiando i conservatori guidati da David Cameron, non assegnò loro una maggioranza assoluta. Pertanto, fu necessario stabilire un’alleanza con il Liberaldemocratici di Nick Clegg, formando un governo di coalizione per la prima volta dal 1976, all’epoca del cosiddetto “Patto Lib-Lab”, accordo di governo fra laburisti e liberal.

Analoga situazione potrebbe verificarsi anche stavolta, ma non è detto che sarà il partito Liberaldemocratico a ricoprire di nuovo il ruolo di partner di governo. Molto arduo azzardare previsioni al momento. I sondaggi, infatti (che – a differenza di quanto avviene in Italia – possono essere pubblicati anche durante le ultime fasi di campagna elettorale) danno Conservatori e Laburisti praticamente alla pari. Tories e Whigs, infatti, si attesterebbero entrambi intorno al 32-34%, e in base ai calcoli degli istituti demoscopici nessuno dei due riuscirà ad andare oltre i 280-290 seggi, ben lontano dalla maggioranza necessaria (325) per governare autonomamente.

Elezioni Regno Unito: i Laburisti di Miliband

A sfidare l’uscente premier Cameron è, come vuole la prassi britannica in base alla quale il leader del partito è anche candidato premier, Ed Miliband. Segretario dal 2010, Miliband è di estrazione socialista, rappresenta l’ala più radicale del partito, ben lontano dal modello New Labour di Tony Blair che negli anni Novanta permise ai laburisti di tornare a Downing Street dopo oltre un decennio di strapotere thatcheriano e che ancora oggi costituisce una fonte di ispirazione per diversi leader progressisti europei, fra i quali lo stesso Matteo Renzi.

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Ed Miliband, leader laburista

Miliband, tuttavia, sembra non convincere quella larga fetta di elettori moderati che, seppur delusi da Cameron, non dimostrano però neanche grande entusiasmo per le misure proposte dal candidato laburista (figlio di un economista e filosofo neomarxista), incentrate su consistenti iniezioni di denaro pubblico e sulla ricostruzione di un solido welfare state, oggetto di netti tagli da parte del gabinetto Cameron.

Elezioni Regno Unito: l’Ukip di Farage

Per quanto riguarda gli altri partiti, occhi puntati sull’UKIP, la formazione anti-euro e nazionalista che – con oltre il 27% dei consensi – ha trionfato alle ultime elezioni europee,  destabilizzando il panorama politico inglese. L’inusuale affermazione del partito guidato da Nigel Farage non deve però trarre in inganno. Infatti, in occasione delle europee 2014 soltanto un elettore su tre si era recato ai seggi (dato che non sorprende, visto l’alto astensionismo che normalmente si verifica nel Regno Unito quando si vota per il Parlamento Europeo, istituzione che a Oltremanica è sempre stata percepita come lontana e poco rappresentativa). Senza contare , poi, che per le consultazioni di second order (come appunto le europee) agiscono logiche di comportamento elettorale profondamente differenti rispetto, ad esempio, a quando si vota per il rinnovo del Parlamento nazionale. In ogni caso, l’UKIP non dovrebbe andare oltre il 15%, con un consenso distribuito piuttosto omogeneamente sul territorio a causa del quale – complice la legge maggioritaria – riuscirà a portare a casa ben pochi seggi.

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Nigel Farage, leader dei nazionalisti dell’UKIP

Elezioni Regno Unito: gli altri partiti

Appare in netto arretramento il partito liberaldemocratico di Clegg, che difficilmente arriverà a una percentuale  a doppia cifra totalizzando fra i 25 e i 28 seggi. Molto lontani dai 57 ottenuti cinque anni fa, potrebbero non bastare per esercitare l’auspicato potenziale di ricatto. A essere determinante, invece, sarà con molta probabilità lo Scottish National Party, il partito indipendentista che ha promosso il referendum per l’autonomia della Scozia, tenutosi lo scorso settembre e conclusosi con una bocciatura, seppur non disonorevole (solo il 55% i voti per il no). Al momento, l’SNP (indipendentista ma tutt’altro che radicale e con tendenze socialdemocratiche) detiene solo 6 seggi alla Camera dei Comuni, ma il numero aumenterà in modo esponenziale, e proprio ai danni di un Partito Laburista che – come ha spiegato il politologo Paul Young a in un’intervista pubblicata nell’ultimo numero de L’Espresso – si dimostra sempre più sordo alle istanze provenienti da Edimburgo e che perderà quasi tutti i suoi attuali 41 seggi scozzesi. Secondo le previsioni, ne trarrà un indiscusso vantaggio l’SNP del primo ministro scozzese Nicola Sturgeon, che si ritroverebbe così nell’inedito ruolo di ago della bilancia.

Rimangono poi i partiti minori, dai Greens (dati intorno al 5%, puntano a conservare l’unico seggio attualmente detenuto) ai partiti locali, come i gallesi di Plaid Cymru, o le formazioni nordirlandesi quali i repubblicani di Sinn Féin e gli unionisti conservatori. I suddetti partiti dovrebbero mantenere le rispettive roccaforti, confermando i pochi seggi che detengono storicamente, aiutati da un sistema elettorale che garantisce un’adeguata rappresentanza alle minoranze locali.

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Elezioni Regno Unito: l’incertezza regna sovrana

Gli ultimi giorni di campagna saranno ovviamente i più intensi, e in attesa degli esiti delle urne molti analisti già teorizzano i futuri scenari post-voto. Si parla di una coalizione che potremmo definire “di centrosinistra” (Laburisti, Liberaldemocratici e Scottish National Party). Ma, nel caso di un’affermazione del Partito Conservatore, non sarebbe da escludere neppure la riproposizione di un governo a guida tory, ma stavolta sostenuto anche dall’UKIP. Per la prima volta nella storia, a governare la Gran Bretagna (seppur in coalizione) sarebbe un partito di estrema destra e dichiaratamente euroscettico, il che incrinerebbe di certo i rapporti con l’Unione Europea, già al momento non idilliaci. Farage per adesso smentisce ipotesi di coalizioni di governo, limitandosi, dice, “al massimo a un appoggio esterno”. Ma l’occasione sarebbe troppo ghiotta, e forse irripetibile.

Una situazione, dunque, a dir poco intricata e complessa verrà a crearsi nella patria della common law. Nonostante le secolari consuetudini costituzionali, e con buona pace della tipicamente scarsa propensione ai cambiamenti, sembra che stavolta anche gli inglesi dovranno rassegnarsi all’incertezza su chi, effettivamente, li governerà per il prossimo quinquennio. Anche quando saranno noti i risultati dell’ultimo seggio.

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