La bandiera nera nei Balcani: lo Stato Islamico in Bosnia

Pubblicato il 13 Aprile 2016 alle 11:20 Autore: Gabrielis Bedris
Stato Islamico

La bandiera nera nei Balcani: lo Stato Islamico in Bosnia

La rivista tedesca Der Spiegel ha recentemente riferito che, lo Stato Islamico sta trovando terreno fertile nella Bosnia rurale e che, in alcuni piccoli villaggi remoti nel nord del Paese, i residenti praticano la legge della Sharia e sventolano la bandiera nera del gruppo.
In alcuni villaggi, sventola la bandiera nera dell’ISIS … – riporta l’articolo – Il pubblico ministero di Sarajevo, responsabile delle indagini sul terrorismo, ammette che ci sono località nella parte settentrionale del paese in cui 64 comunità vivono in conformità con la sharia e dove sono stati scoperti i simboli”.
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Il testo sostiene che “gli investigatori tedeschi credono che in Bosnia ci siano circa una dozzina di posti dove i salafiti – i seguaci di una linea dura dell’interpretazione sunnita dell’Islam – sono assemblati e vivono indisturbati dalle autorità”.
“La Bosnia – sostiene l’americano esperto di Balcani ed ex dipendente della NSA, John Schindler – è considerata una sorta di “casa sicura per i radicali” e ora ospita una infrastruttura terroristica stabile”.

La Bosnia è tra i maggiori fornitori di “adepti” allo Stato Islamico

La Bosnia ha chiaramente un problema con i jihadisti radicali violenti – più di 300 bosniaci si sono uniti al gruppo dello Stato islamico in Iraq e Siria – i quali rappresentano una delle più alte percentuali di jihadisti provenienti dall’Europa.

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Tra i membri bosniaci dell’ISIS ci sono due dei più grandi nomi dell’organizzazione: Bajro Ikanovic, il comandante del più grande campo d’addestramento dello Stato islamico nel nord della Siria, e Nusret Imamovic, una figura importante del “Fronte al Nusra”. L’anno scorso, le autorità hanno arrestato un certo numero di sospetti jihadisti e hanno condannato a sette anni di carcere Husein “Bilal” Bosnic, con l’accusa d’incitamento al terrorismo; ma al momento, le autorità bosniache salutano questa condanna come un segno del loro contributo alla guerra al terrore.

Stato Islamico: gli spostamenti dei militanti anche in Europa

Mentre c’è un sostanziale timore che le reclute dell’ISIS in Bosnia possano muoversi per svolgere attività terroristiche verso l’Europa e il Medio Oriente, c’è un altro elemento non umano che è abbastanza ben documentato: il ministero della sicurezza bosniaco ha trovato che le armi e le munizioni che sono state utilizzate durante l’attacco agli uffici della rivista francese Charlie Hebdo, e le armi usate nella hall del Bataclan a Parigi, erano tutte di fabbricazione ex-jugoslava e che provenivano dalla Bosnia.

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Per capire come l’estremismo dell’ISIS sia arrivato in Bosnia, bisogna risalire al 1990 quando la regione è stata lacerata dalle guerre jugoslave. Il wahabismo, la branca sunnita che molti sostengono che sia la responsabile della nascita dell’ISIS, ha guadagnato trazione nella regione nel momento in cui i salafiti, che si sono allargati dal Nord Africa e dal Medio Oriente, hanno formato delle alleanze con i bosniaci per combattere i serbi e i croati.

Bosnia: il fallimento degli accordi di pace e la situazione attuale

Gli Accordi di Dayton che hanno messo fine alla guerra in Bosnia nel 1995 hanno diviso il paese in un guazzabuglio politico: una presidenza che ruota tra un bosniaco, un croato e un serbo; una parte etnica serba controllata dalla Republika Srpska; la Federazione della Bosnia ed Erzegovina che è ulteriormente suddivisa in 10 cantoni; nel nord, il distretto autonomo di Brcko, il tutto monitorato dall’ufficio dell’Alto rappresentante delle Nazioni Unite.
Questa struttura politica è un danno per la governance, sostengono gli esperti.

Nel 2014, i bosniaci si sono ribellati e hanno dato fuoco agli edifici governativi per protestare, non solo la corruzione dei leader e la cattiva gestione, ma contro il sistema politico per il quale nessuno viene responsabilizzato per agire. Oggi, la disoccupazione si attesta a oltre il 40 per cento.

Gli Stati Uniti e l’Europa condividono la colpa della disfunzione, ha spiegato Patrice McMahon un politologo dell’Università del Nebraska – La NATO ha contribuito a porre fine alla guerra – dopo i massacri di Srebrenica quando le forze serbo-bosniache hanno ucciso 8.000 bosgnacchi – ma l’Occidente non ha davvero aiutato la Bosnia ad andare avanti con le proprie gambe. Sarajevo è una città piacevole, ma i miliardi di dollari in aiuti non hanno portato nessun cambiamento sistemico.

“Promettiamo tanto. Forniamo poco – ha insistito McMahon – A volte penso che stiamo facendo più male che bene. In realtà non è uno Stato autosufficiente”.
“Dopo la Bosnia, c’è stato l’Afghanistan e l’Iraq. Le persone hanno lavorato per costruire una nazione e diciamo che la Bosnia è stata una storia di successo – ha continuato – Ma per le distrazioni e la superficialità abbiamo aperto la porta proprio come in Iraq”.

L'autore: Gabrielis Bedris

Nato a Vilnius in Lituania, ho esercitato la professione di avvocato per 25 anni, ora opero come consulente giuridico in Ucraina, Kiev. Iscritto all’ordine dei giornalisti in Ucraina, collaboro in Italia con Termometropolitico e altre riviste, scrivo giornalmente sul mio blog: bedrisga.worldpress.com
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