Che cos’è la felicità? È una questione culturale

Pubblicato il 23 Aprile 2016 alle 10:49 Autore: Antonio Scafati
La felicità è tutta una questione culturale

Un conto è nascere in Danimarca. Un conto è nascere in Cina. Tutti possono essere felici ma lo saranno in modo diverso. Ecco perché si può rispondere alla domanda su che cosa è la felicità solo in un modo: è tutta una questione di cultura.

Come scritto dal World Economic Forum, un’organizzazione senza scopo di lucro con sede in Svizzera che ha messo insieme un po’ di studi sull’argomento, un’operazione come scegliere il vestito con cui essere sepolti può mettere una certa ansia a un occidentale. Per un buddista cinese, invece, può dare sensazioni diverse, compreso un senso di appagamento. Strano? No, perché la cultura nella quale siamo immersi condiziona il nostro sguardo sulla nostra vita e su noi stessi.

La felicità dipende dalla cultura

Che cos’è la felicità, allora? Tanto per cominciare, la parola stessa assume sfumature diverse a seconda di dove la si usa. In Danimarca, ad esempio, il termine Lykke indica una sorta di benessere che può essere dovuto anche a piccole cose. Nella lingua tedesca, russa o francese, invece, le parole che corrispondono a felicità hanno significati più profondi e complessi. E quindi cambia anche il definirsi felice.

La felicità è tutta una questione culturale

Per un inglese felicità può voler dire un mix di cose che vanno dal buon umore a una vita soddisfacente. Per chi vive a Pechino, invece, si tratta più che altro di una vita che va nel verso giusto. Non solo: la lingua cinese ha diverse parole per dire felicità, ciascuna delle quali con sfumature che ne cambiano il significato. Ecco perché misurare la felicità non è così semplice, anche se in tanti ci provano.

Una società sviluppata e benestante ha più possibilità di avere una popolazione felice, secondo gran parte dei think tank che si occupano di stilare graduatorie sull’argomento. La Scandinavia spesso guida le classifiche. Secondo il World Happiness Report pubblicato a marzo dall’ONU il paese più felice al mondo è la Danimarca. Tra le prime posizioni ci sono tutte nazioni occidentali come la Svizzera, l’Australia, gli USA. Ma poi prima della Germania saltano fuori Costa Rica e Puerto Rico. L’Italia? Cinquantesima.

Una ricerca del Pew Research Center del 2014 mostrava come paesi emergenti come Indonesia e Malesia stessero registrando crescite non solo nell’economia ma anche nell’appagamento della popolazione. Allo stesso modo, però, la ricerca svelava altro: dopo un certo livello, il reddito non ha più impatti significativi sul giudizio che si dà alla propria vita. Come dice un vecchio proverbio, insomma, i soldi (aiutano ma) non fanno la felicità.

Il fatto è che la felicità è un cocktail così complesso che misurarla è difficilissimo: ha a che fare con elementi quali l’accettazione di sé, la famiglia e i rapporti personali, l’ambiente in cui vi vive. Gli irlandesi, ad esempio, tendono a etichettarsi come un popolo che si lamenta continuamente. Un danese è riluttante a parlare dei propri problemi. Per gli americani, la felicità è parte della realizzazione individuale. Un brasiliano è propenso ad avere un approccio solare anche se il contesto socio-economico nel quale vive è più sfavorevole. Paese che vai, felicità che trovi.

Immagine di copertina – Credits: Jorge Royan

L'autore: Antonio Scafati

Antonio Scafati è nato a Roma nel 1984. Dopo la gavetta presso alcune testate locali è approdato alla redazione Tg di RomaUno tv, la più importante emittente televisiva privata del Lazio, dove è rimasto per due anni e mezzo. Si è occupato per anni di paesi scandinavi: ha firmato articoli su diverse testate tra cui Area, L’Occidentale, Lettera43. È autore di “Rugby per non frequentanti”, guida multimediale edita da Il Menocchio. Ha coordinato la redazione Esteri di TermometroPolitico fino al dicembre 2014. Follow @antonio_scafati
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