L’INTERVISTA di TP a Elly Schlein (Possibile): ‘No’ nel merito della riforma

Pubblicato il 21 Novembre 2016 alle 13:38 Autore: Alessandro Faggiano
Elly Schlein

L’INTERVISTA di TP a Elly Schlein (Possibile): ‘No’ nel merito della riforma.

Termometro Politico intervista l’eurodeputata Elly Schlein (Possibile), del gruppo “Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici”  (S&D). Si parla di Unione Europea, immigrazione e referendum. Qui la recente intervista al leader di Possibile, Civati.

Elly Schlein sul Parlamento Europeo

Come ha reagito il parlamento europeo all’elezione di Trump?

Elly Schlein: Il Parlamento è una grande casa democratica, dove sono rappresentate tante realtà e sensibilità diverse. C’è stata sicuramente molta incredulità. In alcuni casi qualcuno se lo aspettava, altri se lo auspicavano. Nel Parlamento siedono alcuni tra coloro che si professano già i più grandi alleati di Trump in Europa. C’è Farage (che già è andato a trovarlo), c’è la Le Pen (che ci andrà presto). Questo è motivo di preoccupazione. Se i primi contatti stabiliti sono con queste forze europee – che vanno in una direzione, per me, totalmente sbagliata – Questo confermerebbe le preoccupazioni che in tanti condividiamo sulla presidenza Trump.

trump

Dal Brexit in poi, c’è stato un cambio nell’agenda politica del Parlamento Europeo? Si è notato un cambio di prospettiva?

Elly Schlein: Non abbastanza. Credo che Brexit segni uno spartiacque e in tanti speravamo che desse la necessaria consapevolezza ai leader europei della necessità di dare una svolta radicale alle politiche dell’Unione, se si vuole evitare la sua disgregazione. Questo, ad ora, non è accaduto. Anzi: la Commissione Europea è ancora più timida nelle relazioni con i governi europei. Addirittura attaccai duramente il ministro Schauble in plenaria, proprio dopo Brexit.

Fece una dichiarazione in cui disse che per far funzionare l’Unione, ci vuole più “metodo inter-governativo”. Questo significa dar ancor più potere ai governi nazionali. È in contrasto con il “metodo comunitario” (che è quello che dovrebbe prevalere). Schauble è stato capace di proporre la causa dei problemi come la soluzione. Se fino ad ora sono mancate le risposte comuni sulle maggiori sfida dell’Unione (dalla crisi migratoria, a quella sociale) è perchè si sono affermati gli interessi dei governi nazionali. Da queste sfide o ne usciamo insieme, o non ne esce nessuno.

Politica di immigrazione e frontiere europee

Come far fronte alla grave crisi umanitaria da Nord Africa a Medio Oriente?

Elly Schlein: Qui abbiamo 6 Stati membri su 28 dell’ Unione che gestiscono l’80% delle richieste di asilo provenienti da quei Paesi. Questo contravviene agli articoli 78 e 80 del TUE sulla condivisione delle responsabilità. Servono risposte di breve, medio e lungo termine. Sul breve termine qualche passo avanti è stato fatto, specie nella ricerca e soccorso in mare ma non è ancora sufficiente. La risposta umanitaria nel Mediterraneo va rafforzata.

Nel medio termine va superata l’ipocrisia del regolamento stabilito dagli accordi di Dublino. Ovvero, il primo Paese in cui arriva la persona in cerca di asilo, dovrà farsi carico della gestione della richiesta. Questo principio vige da 20 anni, e ha scaricato questa responsabilità sui Paesi nei “confini caldi” dell’Unione, come il nostro. Solo in questa legislatura, abbiamo votato a più riprese – e con forti maggioranze – per il superamento di questo principio e passare ad un processo di redistribuzione automatico negli Stati Membri.

frontex, immigrazione, guardia costiera europea

Elly Schlein: L’anno scorso il Consiglio Europeo si era impegnato in ricollocare 160.000 persone e permettere il reinsediamento di altre 22.000; alla fine dell’anno, sono state ricollocate solo 7.500, e reinsediato appena la metà. Il problema non è di numeri o mezzi, ma di volontà politica, di egoismo nazionale. Il Consiglio sta discutendo di come evitare ogni elemento di obbligatorietà. Tra Parlamento e Consiglio siamo su posizioni molto distanti. Non solo è necessario assicurare il ricollocamento. Anche sviluppare un corridoio umanitario, facilitare i visti umanitari. Per esempio, la Comunità di Sant’Egidio sta lavorando su questo, e ha facilitato un corridoio umanitario per 1.000 persone provenienti dal Libano.

Sul lungo termine, le cause della migrazione vanno fronteggiate alla radice. Sullo sfondo ci sono contrasti tra le grandi potenze. In secondo luogo c’è la questione del cambiamento climatico. Trump è un negazionista, ma è fuori di dubbio che in alcune regioni geografiche questi cambiamenti non ne permettono la vivibilità. Infine, le disuguaglianze a scala globale rivestono un ruolo centrale. Le opportunità si concentrano; per risolvere il problema alla radice, bisogna chiedere all’Unione una politica estera coerente. In questo momento è una somma di 28 interessi nazionali. Questo ci condanna, spesso, all’irrilevanza politica.

Le risposte che sta dando l’Unione non sono, quindi, soddisfacenti. Se lo sforzo si fa in 28, piuttosto che in 6, questo è più sostenibile. Infine ricordiamo che l’Unione pratica una politica di esternalizzazione delle frontiere. Ovvero, i rapporti con l’Unione passano da un controllo dei flussi migratori.

unione europea, ceta

Elly Schlein sulla crisi di legittimità dell’Unione Europea

Qual è, secondo Lei, la principale causa della crisi di legittimità dell’Unione?

Elly Schlein: Io credo che l’Unione sia un progetto incompiuto, che sta mancando di dare risposte alla popolazione europea. Secondo l’idea dei padri fondatori e madri fondatrici, questa doveva essere l’Europa di maggiori opportunità e diritti, non di meno (come purtroppo sta accadendo). Da un lato si è voluto cominciare dall’integrazione economica (mercato comune e moneta unica), dimenticando che questi, senza una integrazione politica, non può funzionare. Alla fine, trovandoci di fronte in un mondo estremamente interconnesso e globalizzato, ci troviamo con sfide che non possono più essere affrontate unicamente a livello nazionale. Serve un quadro di regole comuni che ci portino su un cammino diverso, anche dal punto di vista della riduzione delle emissioni e sugli investimenti in energia pulita.

E ancora, quale Paese può affrontare, da solo, certi flussi migratori che hanno fatto traballare Schengen? È evidente che lo sforzo deve essere condiviso. A settembre ero a New York, in un summit organizzato dall’ONU, in cui si è preso atto che l’86% degli sfollati nel mondo si trovano nei Paesi in via di sviluppo. È assurdo che l’Europa (con mezzo miliardo di abitanti) vada in crisi per 1.3 milioni di richieste di asilo, mentre in Libano (con quattro milioni di abitanti) accoglie un milione di rifugiati.

È come se questa Unione stesse camminando su una gamba sola e noi dobbiamo costruire – insieme – la seconda. Lo stesso si può vedere con le politiche economiche e sociali. Si veda l’arroganza dogmatica con il caso greco e di come l’austerità ha rafforzato la recessione. È diventata una discussione totalmente dogmatica. Quando prevale il metodo inter-governativo, questo prevale sul metodo comunitario. Attualmente comanda il più forte.

Solo uno sforzo comune ci potrà portare a una uscita creativa dalla crisi: bisogna investire nell’educazione, nella ricerca, nell’innovazione e qualità della produzione. Come si fa a mettere in primo piano la finanza a scapito dei diritti, della qualità, della salute? Tra le maggiori conquiste dell’Unione vi era la ricerca dell’eccellenza qualitativa. Bisogna combattere contro gli effetti più beceri di questa globalizzazione. Altro tema centrale è la politica fiscale, di cui mi occupo personalmente in quanto sono nella commissione sui Panama Papers. Come si può accettare che l’Unione abbia 28 sistemi fiscali diversi, con una competizione sfrenata al suo interno? C’è bisogno di una rendicontazione trasparente Stato per Stato, per fronteggiare gli schemi elusivi, applicando il sistema anche alle multinazionali. Serve maggior cooperazione. Si parla di almeno mille miliardi di euro all’ anno, in uscita, dall’Unione Europea, per elusione ed evasione fiscale. Si sarebbero pagati 3 “piani Juncker”.

Ecco, queste sfide si possono vincere solo insieme. Per questo sono una europeista convinta: la risposta non potrebbe mai essere quella di rinchiudersi nei confini nazionali. Non diamo per scontato quello che si è fatto fin qui e tenendo conto gli attuali limiti del disegno europeo. Infine non dimentichiamo che c’è una questione politica di fondo: nessuna decisione è stata presa senza coinvolgere tutti i 28 governi europei. Anche le scelte che vengono fatte passare per “tecniche”, hanno una componente politica. Non solo; il Consiglio sta scavalcando sempre più spesso il Parlamento. L’ultimo caso è quello turco. L’ “Agreement” (accordo) con la Turchia si è fatto passare per “Statement”. In questa maniera si è potuto bypassare il Parlamento Europeo, ai sensi dell’art. 218. Se non ci poniamo il problema della democratizzazione dell’Unione, dei suoi meccanismi decisionali, la sfida la vinceranno altri. Purtroppo abbiamo visto in che direzione si sta andando.

Elly Schlein su referendum e riforma costituzionale

Renzi, referendum costituzionale

Cosa pensa dell’ “all-in” di Renzi? Qual è la posizione di Possibile sulla decisione di rassegnare le dimissioni in caso di vittoria del ‘No’?

Elly Schlein: Mi piace la metafora pokeristica. Il problema dell’ “all-in” è che se si rivela un bluff, uno ci rimane sotto. E credo che questo sia il caso di Renzi. Inoltre la stessa riforma è un bluff. Poi, sul fatto che si dimetta o meno, cambia opinione ogni settimana. Difficile rispondere, quindi. Di per sé, è sbagliato che un governo si faccia promotore di una riforma della Costituzione. Quando questa fu approvata, già vigeva quella che è conosciuta come “conventio ad excludendum”. Questo a dimostrazione che dobbiamo poterci rispecchiare in quelle regole. De Gasperi non intervenne mai sulla Costituzione, tranne in un intervento dal suo seggio parlamentare. Come sosteneva Calamandrei, quando si parla di Costituzione “i banchi dell’esecutivo devono essere vuoti”.

Poi, se personalizzi è chiaro che ci sono delle conseguenze. Ma quello è un problema di Renzi. Noi sosteniamo il ‘No’ nel merito della riforma. Noi abbiamo offerto varie controproposte che fossero capaci di avere un consenso trasversale. Parlavamo di revisione in pieno spirito costituente, non una riforma di 47 articoli che la stravolge. Gli articoli principali della riforma sono quelli di merito. Va bene superare il bicameralismo paritario, ma per cosa? Sicuramente non per creare un Senato pasticciato come questo proposto, o aumentare il numero di procedimenti legislativi (che rischierebbero di rallentare ulteriormente il processo legislativo a causa della crescita di contenziosi di competenza). Sempre sul Senato, si è ragionato prima sulla composizione dello stesso, piuttosto che sulle sue funzioni. Bisognava pensare prima alle funzioni che alla composizione.

È una riforma accentratrice in una duplice vertente. Dal legislativo verso l’esecutivo (è questo conferma lo svilimento dell’istituzione parlamentare degli ultimi anni). In un secondo livello, dalle regioni verso lo Stato. Specialmente attraverso la clausola di supremazia – che si rifà a un concetto molto vago come quello di “interesse nazionale” – potrebbe incidere su tutte le competenze regionali. È impossibile dire che questa riforma rafforzi le autonomie locali. Infine ricordiamo che c’è una differenza reale con i Senati federali (come quello tedesco). Lì sono rappresentati i governi regionali e hanno un chiaro vincolo di mandato. Inoltre, le territorialità sono rappresentate in modo eguale. L’obiettivo è creare una Camera tra eguali. Nel nostro caso ci saranno regioni con due senatori, e altri con 14 (come la Lombardia).

La riforma, come si può ben vedere, è piena di incongruenze. Poi vorrei ricordare a Renzi che se vince il ‘No’ non è la fine del mondo: rimane la nostra Costituzione. Mi sembra ridicolo dire che il Senato blocca le leggi o che l’iter è troppo lento. La Fornero è passata in 20 giorni. La legge sulla lotta all’omofobia – che è ferma da due anni – dipende dalla volontà politica di chi sta nella maggioranza, come Alfano, Formigoni e Giovanardi. Stanno sbagliando bersaglio. Loro ci dicono che il problema è l’Ordinamento Costituzionale quando in realtà è un problema di carattere politico.

Io credo che queste sono tutte ragioni di merito per il quale siamo fermamente contrari, portando argomentazioni molto solide basate sul testo della riforma. È una occasione mancata per cambiare le cose. Io sfido chiunque a guardarmi in faccia e dirmi che non voglio cambiare le cose. Ma si può cambiare sia in meglio che in peggio. E questa riforma è un cambiamento in peggio per la nostra democrazia.

Intervista realizzata da Alessandro Faggiano per Termometro Politico

L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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