Una via d’uscita per Bersani

Pubblicato il 23 Marzo 2012 alle 16:20 Autore: Matteo Patané
pierluigi bersani

Esiste, tuttavia, una mossa che il segretario del PD potrebbe usare per sparigliare le carte e volgere la partita a proprio favore e a favore del partito, una mossa che consiste di fatto con la più grande innovazione che la nascita del Partito Democratico ha portato alla politica italiana: le primarie.

Volete che votiamo la riforma del mercato del lavoro così come proposta dal Governo?
Volete che votiamo la riforma del mercato del lavoro così come proposta dal Governo se dovesse essere richiesto un voto di fiducia?

Con queste due semplici domande, da porre magari solo agli iscritti (la tessera dovrà pur servire a qualcosa), Bersani otterebbe solo vantaggi, rinforzerebbe la propria leadership e con ogni probabilità salverebbe il PD dallo sfascio a cui sarebbe probabilmente destinato in caso di mancata modifica della riforma.
Quando si parla di lacerazioine nel partito, in effetti, si parla in massima parte di dirigenza. Il popolo democratico, per quanto variegato, è molto più unitario di quanto si possa pensare. Per di più le elezioni primarie con il tempo sono diventate un tratto distintivo e identitario del partito, un motivo di orgoglio nel quale riconoscersi. Utilizzare lo strumento su un tema così delicato servirebbe a compattare l’elettorato PD persino se l’esito delle votazioni dovesse essere in bilico e l’elettorato diviso. Inoltre il vantaggio mediatico di non apparire come un partito che decide nel chiuso della propria torre d’avorio del destino di milioni di lavoratori sarebbe un impulso importante in vista dei prossimi appuntamenti temporali, e a maggior ragione in caso di termine anticipato della legislatura.
Al tempo stesso Bersani, sposando la posizione vincitrice delle primarie, diverrebbe di fatto inattaccabile. Inattaccabile dalle provocazioni esterne, che siano di appiattimento sulla linea della CGIL quanto di tradimento degli ideali della sinistra; ma si porrebbe inoltre come elemento super partes nelle lotte interne al partito, diverrebbe esecutore della volontà della base e come tale da parte in causa si trasformerebbe in custode del mandato degli elettori.
Infine, in caso di lacerazione del partito, la presenza di un’indicazione della base consentirebbe di dire chi è il PD e chi invece se ne è tirato fuori; chi ha tenuto fede al patto con gli elettori e chi, pur nel rispetto dell’assenza di un vincolo di mandato, se ne è discostato.

Servirebbe, certo, un atto di coraggio; servirebbe l’audacia di indire le consultazioni interne con la base per la prima volta proprio su un tema così spinoso, affrontare le accuse di non essere in grado di dettare una linea, di non saper trovare una sintesi delegando ogni cosa alla base. Eppure i vantaggi che ne scaturirebbero meriterebbero ampiamente un simile rischio. Sarebbe, per l’appunto, la mossa risolutiva, che permetterebbe al Partito Democratico di mantenere la propria identità e al tempo stesso aprire nuovi e graditi scenari di partecipazione diretta.
Bersani ci pensi.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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