Senato, dopo la tagliola le opposizioni “marciano” sul Colle, Renzi “Non mollo”

Pubblicato il 24 Luglio 2014 alle 13:46 Autore: Emanuele Vena

Alla fine sarà tagliola. Niente accordo in extremis tra le controparti. Il governo va per la sua strada: contingentamento dei tempi del dibattito in aula e voto sul ddl riforme entro l’8 agosto. Le proteste delle opposizioni e dei frondisti della maggioranza non sono servite a nulla.

LA MARCIA DELLE OPPOSIZIONI – Le forze di minoranza reagiscono con veemenza e vanno in corteo al Quirinale. Una delegazione composta da Gianmarco Centinaio per la Lega Nord, Vito Petrocelli per l’M5S e Loredana De Petris di Sel per il Gruppo Misto al Senato viene ricevuta dal segretario generale Donato Marra che assicura: “Napolitano vigilerà sull’iter del ddl”. Mentre un gruppo di pentastellati improvvisa un sit in nella piazza con la fascia tricolore al braccio.

RENZI “NON MOLLO” – Il premier, in un’intervista al Corriere.It, ribadisce: “Non mollo. Basta a chi dice sempre no. In Italia c’è un gruppo di persone che dice “no!” da sempre. E noi, senza urlare, diciamo “sì!. Piaccia o non piaccia, le riforme le faremo”. E ancora “l’ostruzionismo non esiste, chi fa ostruzionismo va contro la volontà dei cittadini. Io ho preso un impegno con i cittadini, quel 40,8 per cento, che mi hanno votato. E su quell’impegno mi gioco la carriera. Siamo al lavoro sul programma dei ‘mille giorni’. Stupiremo tutti, specialmente i gufi”.

LAVORI LENTISSIMI – Tra un fiume di emendamenti ed un’alta richiesta di voto segreto – oltre 7800 i primi, circa 900 le seconde – la “madre di tutte le riforme” procede a ritmi lentissimi. Un paio di voti – distintisi ovviamente per la scarsa rapidità – su emendamenti bocciati e poi il Presidente del Senato decide che può bastare. Poco prima delle 11 Pietro Grasso blocca i lavori e convoca la conferenza dei capigruppo, per porre rimedio ad una situazione a dir poco imbarazzante, che alimenta ulteriormente la tensione già presente nell’Aula e nel dibattito politico. All’uscita della riunione (sospesa, si riprenderà alle 14.30) il ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, afferma: “Il governo è disponibile ad approfondire nel merito alcuni punti, ma non soggiacendo al ricatto di 7.800 emendamenti. O si ritirano in maniera sostanziosa gli emendamenti oppure si va avanti per approvare il ddl entro agosto, perché così non si può discutere, è un ricatto”. Ma per Nichi Vendola, la sola ipotesi dell’utilizzo della “tagliola” è “inimmaginabile. Spero che si tratti di uno scherzo, spero che non provino neanche a pensarla una cosa del genere, perchè veramente questo ha una puzza insopportabile”.

SPUNTA LA TAGLIOLA? – Ad avanzare una richiesta di sospensione era stato il capogruppo PD al Senato, Luigi Zanda, constatando l’eccessiva lentezza dei lavori: “due emendamenti discussi in un’ora e mezza. Avevo fatto ripetuti appelli a tutti i gruppi per ridurre gli emendamenti. Ci sono temi che possono essere riassunti senza dilungarsi”. E, da fonti parlamentari, spunta l’arma segreta. Secondo alcuni, il Pd sarebbe pronto a chiedere la ghigliottina, per contingentare i tempi. Col rischio, però, di alimentare la tensione ed un clima già di per sé esacerbato.

PROTESTA M5S – A dimostrarlo è l’atteggiamento dei senatori del Movimento Cinque Stelle, piazzatisi davanti alla stanza che ospita la capigruppo “per fare pressione in modo che non approvino contingentamenti dei tempi o altri strumenti per zittire l’opposizione”. Critico anche il senatore grillino Santangelo: “Nuova riunione di capigruppo richiesta da Zanda (Pd). C’è aria di ghigliottina. Noi siamo davanti alla porta della sala dove si svolge la riunione. Sentono il nostro fiato sul collo!!”. Perplesso anche il senatore Vincenzo D’Anna (Gal): “Aleggia la parola ghigliottina, il discorso è “attenti a voi che tagliamo i tempi perché state dando fastidio”. Ma noi non desisteremo, perché noi non stiamo difendendo i nostri augusti deretani ma un principio abbastanza marginale, che si chiama diritto del popolo italiano a scegliersi i parlamentari”. E Corradino Mineo, senatore “dissidente” del Pd, rilancia la soluzione per risolvere lo stallo: “basterebbe che il governo accettasse due sole modifiche, la prima per sancire l’elezione popolare diretta dei 95 senatori, invece di delegarla alle alchimie dei consigli regionali. La seconda per ridurre il numero dei deputati, che oggi sono 630”.

I dissidenti (tra loro M5S, Lega, Sel, ex grillini e qualche frondista Pd e FI) si sono poi riuniti in riunione per preparare una strategia comune sugli emendamenti al ddl riforme. Al termine della riunione Loredana De Petris, presidente del gruppo Misto-Sel, ha dichiarato: “Andremo in conferenza dei capigruppo con delle proposte comuni. Il governo ci dicesse per iscritto cosa ne pensa. I punti sono: elezione diretta, equilibrio con la Camera e referendum. Su questi punti siamo tutti d’accordo”.

L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
Tutti gli articoli di Emanuele Vena →