Rinuncia Tfr: ecco l’ultima sentenza della Cassazione

Pubblicato il 31 Maggio 2019 alle 13:55 Autore: Claudio Garau

Che cosa dice la giurisprudenza della Cassazione circa la questione della validità della rinuncia al Tfr? Quali sono i presupposti?

Rinuncia Tfr: ecco l'ultima sentenza della Cassazione
Rinuncia Tfr: ecco l’ultima sentenza della Cassazione

La giurisprudenza, negli ultimi tempi, ha dato utili risposte circa la questione della validità di un atto in cui il lavoratore dichiara, su invito del datore di lavoro, di rinunciare al Tfr. Sappiamo della rilevanza economica del cosiddetto trattamento di fine rapporto, che, certamente in molte situazioni concrete, è un ottimo sostegno per chi, ad esempio, va in pensione ed ha comunque bisogno di fronteggiare diverse spese. Vediamo di seguito se, pertanto, il diritto al TFR può essere legittimamente limitato oppure no.

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Rinuncia TFR: la questione della validità della dichiarazione

La giurisprudenza ha avuto molte occasioni di pronunciarsi sulla questione in oggetto, a testimonianza della sua rilevanza pratica. I giudici hanno quindi avuto modo di sottolineare che la validità di una eventuale rinuncia è legata al momento in cui il dipendente firma un patto o un accordo di questo genere. Il ragionamento della Corte di Cassazione è che la rinuncia fatta dal lavoratore ancora in servizio, è da ritenersi nulla perché l’oggetto della rinuncia è mancante (vale a dire il TFR, inteso come “credito futuro”), in quanto il TFR e il relativo diritto non sono ancora materialmente entrati nel patrimonio del lavoratore. Insomma, per la Suprema Corte il lavoratore non può rinunciare ad un credito futuro, in quanto al momento della rinuncia, giuridicamente ancora non esiste (il lavoratore è ancora in servizio). Ne consegue, secondo la Cassazione, che per aversi rinuncia valida al TFR, occorre che il rapporto di lavoro sia cessato al momento della sottoscrizione di essa.

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Però ciò non basta. Al fine di considerare valida la rinuncia TFR, occorre anche che la relativa dichiarazione sia firmata come concessione per chiudere una lite o un attrito tra azienda e lavoratore. Come ribadito dalla giurisprudenza, occorre che la rinuncia in oggetto sia una sorta di compromesso tra la parti, con reciproche concessioni; deve essere insomma un atto di transazione, una sorta di conciliazione tra le parti, con cui – comunque – il dipendente ottiene di fatto un beneficio dall’azienda. Ciò in quanto il diritto alla retribuzione non è rinunciabile, essendo parte integrante del contratto di lavoro, e non è quindi rinunciabile il TFR, in modo puro e semplice.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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