Affitto in base al reddito o fatturato: quando si può’ fare e come

Pubblicato il 1 Ottobre 2019 alle 18:50 Autore: Claudio Garau

Affitto in base al reddito: è possibile che le parti si accordino per un canone legato a reddito o fatturato? Se sì, quali regole occorre seguire?

Affitto in base al reddito o fatturato: quando si può’ fare e come

Vediamo di seguito se è possibile redigere un contratto di affitto, il cui canone sia stabilito in relazione alla mole del reddito o del fatturato. Infatti forse non tutti sanno che, in ambito commerciale, la disciplina in materia di affitti – sul piano del compenso al proprietario – non è affine a quella degli affitti ad uso abitativo. Cerchiamo allora di fare chiarezza.

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Affitto in base al reddito: in quali circostanze?

In materia di affitto in base al reddito, come anticipato, è necessario distinguere. Per tale questione essenzialmente pratica, i giudici hanno più volte sentenziato che è legittima, nelle locazioni o affitti ad uso commerciale, la prassi di individuare canoni di affitto variabili col tempo, in relazione a mole di reddito o fatturato. Invece, per ciò che riguarda gli affitti ad uso abitativo, tale possibilità è stata esclusa. Per questi ultimi è se mai possibile un incremento del canone in relazione all’adeguamento Istat all’inflazione.

Tipico è il caso di chi intende avviare un attività commerciale, magari un negozio di frutta e verdura o un panificio, e che specialmente all’inizio, teme una mole di costi e spese molto ingente, con il rischio di non riuscire a sostenerle tutte. In circostanze come queste, appare opportuno un compromesso tra affittuario-negoziante e proprietario, con la stipula di un affitto in base al reddito o fatturato. Ciò che caratterizza la locazione ad uso commerciale, e che la differenzia quindi dalla locazione ad uso abitativo, è che ha ad oggetto immobili urbani di vario tipo (ad esempio un palazzo o anche un terreno) ma soprattutto la finalità, legata esclusivamente ad attività economiche in grado di generare un reddito (pertanto si tratta di immobili adibii ad uffici, bar, studi professionali, negozi ecc.). Anche in materia di affitto in base al reddito, la durata del contratto non può mai essere inferiore a 6 anni: una clausola che prevede una durata inferiore, è quindi da ritenersi nulla, cioè come mai scritta.

La questione del canone

A questo punto, affrontiamo più direttamente la questione dell’affitto in base al reddito, per immobili ad uso commerciale. Come accennato, la giurisprudenza – in particolare quella della Cassazione – è stata illuminante circa la risposta da dare a tale quesito pratico. Per legge, essendo un contratto di affitto, il conduttore (negoziante) deve pagare al proprietario locatore un canone, per poter utilizzare l’immobile secondo finalità commerciali, e ciò rispettando le scadenze fissate nel contratto.

Per quanto attiene la definizione dell’ammontare le canone, le parti sono assolutamente libere di decidere e di accordarsi come vogliono. Tuttavia, salvo l’aggiornamento del canone di affitto all’inflazione, ammesso dalla legge, dopo la sottoscrizione del contratto e durante la sua applicazione, le parti non possono fissare aumenti del canone di affitto. Come sancito dalla Corte di Cassazione, tali accordi sarebbero nulli ed, anzi, il conduttore potrebbe domandare la restituzione della cifra versata in eccesso, entro 180 giorni dalla riconsegna dell’immobile.

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Pertanto – è bene sottolineare – per la Corte di Cassazione, è ammissibile una determinazione del canone di affitto in modo variabile ed eventualmente crescente col tempo, ovvero è consentito l’affitto in base al reddito; ma è possibile soltanto all’atto della sottoscrizione del contratto di affitto stesso, e non dopo. Tale “canone a scaletta” dev’essere cioè frutto di una libera scelta delle parti, poco prima della firma del contratto, e l’aumento del canone deve essere ancorato ad elementi predeterminati (e valutabili dalle parti) al momento della stipulazione del contratto. Insomma, secondo la Corte di Cassazione, non vi debbono esser dubbi che le parti non abbiano invece voluto apporre variazioni al canone, solo per eludere gli effetti della svalutazione monetaria, sottraendosi ai limiti di legge. In caso contrario, la clausola sul canone sarebbe nulla e il conduttore avrebbe diritto alla restituzione dell’eventuale maggiore canone versato.

Rispondendo alla questione della possibilità dell’affitto in base al reddito o al fatturato, esso è quindi consentito. Insomma il canone di locazione può essere ancorato e legato al fatturato del conduttore, ovvero a quanto guadagna. Ma esclusivamente solo se ciò è resto noto in modo nitido nel contratto originario e non sussistano incertezze circa il metodo di calcolo. Nella pratica dei rapporti commerciali, tali contratti prevedono una parte “fissa” di canone e una parte legata ai ricavi variabili dell’attività commerciale, che viene versata non prima della compilazione del cosiddetto bilancio d’esercizio.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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