Un’Europa senza gioia va alle urne. Dalla Francia alla Grecia, il voto potrà cambiare qualcosa?

Pubblicato il 2 Maggio 2012 alle 18:56 Autore: EaST Journal

In Serbia, dove si voterà sia per le presidenziali che per le politiche, il presidente uscente Boris Tadic rischia di non essere rieletto. Eppure, pur tra mille incertezze, ha condotto il Paese verso l’agognata mèta europea. Solo che adesso, l’Europa, non è più agognata dai serbi. Uno dei popoli più frustrati del vecchio continente, in preda alla crisi economica, ha forse voglia di grandeur nazionalistica e comunque non vede di buon occhio questo gigante minaccioso e oppressivo.

Ovunque, in Europa, è diffuso un sempre più radicato sentimento antieuropeista in nome di un neonazionalismo posteuropeo che, se arrivasse al successo, scardinerebbe l’edifico comunitario in quattro e quattr’otto. Molti hanno voglia di spaccare il sistema, rimescolare le carte, con quel brivido che dà la consapevolezza di correre un pericolo. Molti, nei parlamenti come nei supermercati, per le strade come nelle accademie, sono sedotti dall’idea che senza Europa sarebbe meglio. E se non meglio, diverso. Anche in Francia, sia Hollande che Sarkozy cavalcano questo stato d’animo, pur in modo diversi. L’Europa, è evidente a tutti, è unita solo a parole. Bruxelles, capitale dell’ Unione, non riesce a essere simbolo di unità nemmeno per il Belgio, diviso da questioni etno-nazionaliste. Ma la fine del percorso di unità europea, specie se prodotto dai nazionalismi, potrebbe ricacciare il continente una spirale di violenza incontrollata. Uno spauracchio che porta ancora gli stati a dirsi appartenenti a un’Unione che non c’è. Quel che c’è è egoista all’interno, ipocrita all’esterno, moralmente incerta, ideologicamente ambigua.

Per chi scrive la soluzione resta sempre la stessa: rilanciare il progetto europeo fondandolo politicamente su garanzie di solidarietà ed equità. Una magna charta di valori che si concretizzino in una unità politica realmente democratica. L’Europa dell’economia, delle istituzioni finanziarie, del più grosso che mangia il più piccolo finirà in ogni caso. Ma forse è un sogno, un modo per non arrendersi all’abisso: questa classe politica, dalla Merkel a Sarkozy, da Orban a Fico, dall’Inghilterra all’Italia e alla Spagna, non sa che pesci prendere. E non ha la forza, l’etica, la fame, per cambiare le cose. La fame ce l’ha il milione di disoccupati europei, ma l’iniziativa del popolo affamato si limita a un manzoniano attacco al forno. 

Il 13 maggio si voterà anche nella regione tedesca del Nord Reno-Vestfalia, un land di 18 milioni di abitanti (poco meno della popolazione dell’intera Romania). Un voto che potrebbe avere ripercussioni sul governo del cancelliere Angela Merkel e dei suoi falchi finanziari.

Si rimescolano dunque le carte nella politica europea ma per vincere la partita, questo giro, serve pescare un jolly.

Da EastJournal

di Matteo Zola

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