Un’eco dagli anni di piombo

Pubblicato il 3 Dicembre 2019 alle 17:06 Autore: Nicolò Zuliani
Un’eco dagli anni di piombo

Qualche giorno fa sotto un mio articolo di opinionismo, un tizio mi ha scritto “vabbè ma quindi? Sto articolo è più neutrale della Svizzera” credendo – immagino – di farmi una critica, quando invece è probabilmente il più bel complimento che mi potesse fare. Perché le opinioni neutre esistono, vivono tra noi e a volte hanno lo scopo di sollevare domande e stimolare riflessioni, non di trarre conclusioni, dare giudizi o schierarsi. Magari perché schierarsi, oggi, dopo il crollo del muro di Berlino e della prima Repubblica, è diventato un attacco umano e personale.

Questo mi incuriosisce, perché qualcosa non torna

Oggi si fa un gran parlare di violenza e odio nei social, nei dibattiti, nelle sparate dei politici. Ed è indiscutibile che qui e lì siano spuntati fuori dei poveri coglioni come miss Hitler o un tal professore le cui sparate causano drammatiche partite a testa o croce tra gli agenti della DIGOS e gli psichiatri. Eppure non c’è nemmeno un millesimo della violenza che c’era negli anni di piombo, in cui le città erano divise in quartieri rossi o neri, i magistrati e i giornalisti venivano sparati o gambizzati, i treni esplodevano a un ritmo serrato e andavi in banca con la tuta da artificiere.

Sì, oggi le forze dell’ordine sventano formazioni anarchico insurrezionaliste o neofasciste e forse grazie alla loro esperienza pregressa son diventati più efficaci. La tecnologia è migliorata.

Ma nei fatti, è tutto qui?

Ho provato a fare un paragone con quell’Italia che leggo nei libri di Storia. Rispetto al passato, il potere d’acquisto è crollato – 10,000 lire del 1970 equivalgono a 90 euro del 2018 – e gli stipendi si sono abbassati dal 2009, mentre erano andati crescendo fino alla crisi del 1987. Le stracitate periferie, culla del paese reale e oggi considerate terra di Mordor infestata da razzismo ed estremismo, nel 1960 e ’70 erano assai più povere – come racconta il cinema neorealista – e a livello di cultura e violenza non ci sono dati.

Di certo, oggi sono cambiate perché è cambiato il concetto stesso di periferia, secondo questo studio. Su carta, nel 2019 dovrebbe esserci la stessa violenza degli anni di piombo. Secondo alcuni sociologi dipende dal paradosso di Tocqueville, il quale sosteneva che le rivolte più sanguinose accadono quando arriva meno benessere del previsto, invece che quando c’è miseria nera.

Allora dov’è?

Ogni giorno qualcuno viene cazziato per aver scritto delle bestialità su Internet, ma non ci sono botti al Semtex, pistole CZ, mitragliette Skorpion. Ci son due bombe carta alla sede della Lega e Luca Traini. Perché? Se c’è così tanto odio e rabbia sociale, perché non si concretizza? Qual è la differenza con gli anni ’70 e ’80 con Desdemona Lioce?

Attenzione, non me lo sto augurando, tutto il contrario.

Sono felicissimo quella roba non succeda più. Eppure una cosa è far saltare un treno carico di persone, un’altra è ipotizzare di dare 50 euro a un marocchino perché tiri una molotov sulla sede dell’ANPI. Persino quegli schioppati dei separatisti erano più concreti, e loro sognavano d’ispirare l’insurrezione armata nazionale grazie a una bat ruspa in piazza San Marco.

Manca qualcosa, ma non so cosa

Il cervello umano tende a trovare risposte semplici a problemi complessi, che è un po’ l’essenza del complottismo. A volte leggendo i resoconti di Montanelli viene da pensare che noi italiani siamo un popolo irrequieto, innamorato della sedizione che si addormenta sognando rivolte. Ogni anno qualcuno di loro viene sgamato e irriso mentre ci prova in maniera più o meno abborracciata. Forse le nostre forze dell’ordine sono solo diventate più brave, ed è possibilissimo.

Ma a volte mi domando: se hai un popolo del genere, con un’inclinazione simile, e sei un politico con un cervello da prima Repubblica, quanto ci metti a lasciarlo succedere? Lasci fare. Dici agli organi preposti di guardare dall’altra parte, e all’improvviso una pletora di idioti ha tutto il tempo per diventare qualcosa di serio e pericoloso. Non una regia occulta, più una sorta di menefreghismo controllato.

Immagino sia una delle tante domande che non avranno risposta. Ma sempre perché scrivo cose più neutrali della Svizzera, penso che meritino di essere pronunciate.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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