Rifiuto mobilità 2020: di che si tratta e lo scopo. Il quadro di riferimento

Pubblicato il 12 Marzo 2020 alle 15:40 Autore: Claudio Garau

Rifiuto mobilità: qual è il contesto di riferimento e come la mobilità opera nei confronti del personale. Le tipologie e gli scopi. Può essere rifiutata?

Rifiuto mobilità 2020 di che si tratta e lo scopo. Il quadro di riferimento
Rifiuto mobilità 2020: di che si tratta e lo scopo. Il quadro di riferimento

La mobilità è un concetto riconducibile al diritto del lavoro. Essa non ha un solo univoco significato e può essere applicata a più situazioni differenti, nell’ambito di uno o più rapporti di lavoro in essere. Vediamo di seguito che cos’è di preciso, quali ne sono gli scopi e con quali modalità metterla in atto. Inoltre, cerchiamo di capire quando può scattare il rifiuto della mobilità.

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Rifiuto mobilità: il contesto di riferimento

Come appena anticipato, il concetto di mobilità ha più accezioni. Infatti comunemente si parla di “mobilità”:

  • per individuare le procedure di licenziamento collettivo;
  • per indicare lo status del lavoratore che, a seguito di tale licenziamento o a seguito di licenziamento per ragioni economiche diventa disoccupato e perde il lavoro;
  • nell’ambito del pubblico impiego, per individuare uno o più dipendenti che intendono trasferirsi da una Pubblica Amministrazione a un’altra, oppure che debbono essere trasferiti per esigenze organizzative.

Le prime due accezioni di “mobilità” vanno riferite alla generalità dei lavoratori dipendenti sparsi per la penisola (e in questi casi si parla contestualmente anche di ammortizzatori sociali derivanti da licenziamento), mentre la terza si riferisce esclusivamente ai lavoratori del pubblico impiego.

Soffermiamoci dunque sulla terza accezione di “mobilità” e vediamo come funziona nel settore pubblico. Se l’impiegato pubblico necessita di modificare la propria sede di lavoro (magari per motivi familiari o di salute), ed è legato allo Stato con un contratto a tempo indeterminato, può avvalersi della mobilità intesa come meccanismo di spostamento da una PA a un’altra.

Quali sono gli scopi?

La mobilità è una procedura molto diffusa nell’ambito pubblico, specialmente nel contesto sanitario ed in quello scolastico. Tanto che è legittimo parlare della possibilità di rifiutare una mobilità. Infatti, tale procedura – regolata dal Testo Unico sul pubblico impiego – mira espressamente a fronteggiare le carenze organizzative e i buchi di organico all’interno degli uffici pubblici. In altre parole, a causa del blocco delle assunzioni di nuovi dipendenti pubblici, la situazione attuale fa sì che la mobilità non si applichi soltanto al lavoratore che vuole spostare la sede di lavoro, ma anche a tutti quei dipendenti che, per poter fornire il livello minimo di servizi pubblici, vanno trasferiti in altro Comune o altra sede.

Ricordiamo che, in ogni caso, quando scatta la procedura di mobilità non sussiste mai lo stop del rapporto di lavoro. Pertanto, contributi, retribuzioni e scatti di carriera permarranno comunque.

Gli enti interessati a coprire carenze di personale hanno diritto di pubblicare dei bandi di accesso alla mobilità, nel rispetto del principio di parità di trattamento e di trasparenza. Debbono invece pubblicarli quando sono in vista concorsi pubblici: infatti le PA, prima di svolgere questi ultimi, debbono tentare di coprire i posti vacanti con lo strumento della mobilità.

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Quali sono le tipologie di mobilità? si può rifiutare?

Veniamo ora alla domanda clou: è possibile il rifiuto della mobilità? E chi può farlo? Ebbene, prima di rispondere alla domanda, è necessario schematizzare quali sono le tipologie e i meccanismi di mobilità operanti nel settore pubblico:

  • mobilità per compensazione: è quella che scatta quando due lavoratori del settore pubblico, occupati in città diverse, intendono entrambi trasferirsi, l’uno nella città dell’altro. Ebbene, la legge consente lo scambio di posti di lavoro, dato che i lavoratori compensano le reciproche posizioni;
  • mobilità interna: è quella che scatta quando il dipendente è spostato da una sede ad un’altra della identica struttura amministrativa. Tipici i casi degli impiegati che sono spostati di ufficio nell’ambito dello stesso Comune, per motivi di mancanza di organico;
  • mobilità per comando: è simile a quella interna, ma differisce perché, in queste circostanze, il trasferimento è soltanto provvisorio e serve a fronteggiare eventuali necessità contingenti o picchi di lavoro;
  • mobilità volontaria: quest’ultima procedura è prevista per il lavoratore che vuole spostarsi e andare a lavorare altrove. Per farlo deve seguire un iter che prevede di presentare un’istanza ad hoc, sia alla PA in uscita, sia a quella di destinazione. Visionata l’istanza in oggetto, entrambi gli uffici pubblici dovranno dare l’ok, vale a dire il cosiddetto “nullaosta”, che autorizza di fatto la scelta del lavoratore.

Chiarito il quadro di riferimento, possiamo ora rispondere alla domanda inerente il rifiuto della mobilità. Esso può essere espresso non soltanto dal datore di lavoro, ma anche dal dipendente. E tale rifiuto può certamente, in ambo le ipotesi, avere un esito positivo ed essere accolto. Ciò perché da un lato la PA può dire no al lavoratore che vuole spostarsi in quanto potrebbero derivarne carenze organizzative; dall’altro lato, lo stesso dipendente può dire no all’ente pubblico in ragione di prevalenti priorità di natura personale, sanitaria o familiare.

Concludendo, va ancora rimarcato che la PA deve sempre motivare il rifiuto della mobilità nei confronti dell’istanza del lavoratore, mentre quest’ultimo è tenuto a giustificare il suo no al trasferimento soltanto nei casi di mobilità interna e per comando, altrimenti il rischio di un’infrazione disciplinare è concreto.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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