Sanzioni penali Coronavirus: perché sono incostituzionali?

Pubblicato il 25 Marzo 2020 alle 19:15 Autore: Claudio Garau

Sanzioni penali Coronavirus: secondo gli esperti di diritto costituzionale, sarebbero contarie al dettato della Costituzionale. Per quali ragioni?

Sanzioni penali Coronavirus perché sono incostituzionali
Sanzioni penali Coronavirus: perché sono incostituzionali?

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In questi giorni si fa un gran parlare delle sanzioni penali, possibili in caso di violazione delle norme anti-coronavirus. Tali norme sono state adottate in via d’urgenza dal Governo – attraverso lo strumento del decreto – e sono discusse, in particolar modo dai giuristi, ovvero dagli esperti di diritto costituzionale che hanno messo in dubbio la loro effettiva validità. In gioco insomma è la possibile incostituzionalità delle norme che prevedono sanzioni penali per chi viola gli obblighi legati alla lotta alla diffusione del Coronavirus. Vediamo allora perché tali norme potrebbero essere contrarie alla Costituzione e come mai, in futuro, le correlate sanzioni già emesse potrebbero essere “sanate” o comunque potrebbero perdere gli effetti.

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Coronavirus e le decisioni adottate dal Premier: c’è incostituzionalità?

In effetti, non tutti gli italiani hanno risposto positivamente all’appello di restare a casa e a non uscire se non per motivi di necessità, di lavoro o salute: è stata ormai ampiamente superata la soglia delle 100 mila denunce alle forze dell’ordine. Dati che fanno riflettere sui comportamenti della cittadinanza e che inevitabilmente, secondo quanto previsto dai decreti anti-Coronavirus, porteranno all’applicazione di sanzioni penali anche ingenti: il giorno 24 marzo 2020 è stato infatti varato un inasprimento delle misure, con multe fino a 3.000 euro.

Il punto è però capire se, sul piano del rispetto delle norme della Carta entrata in vigore nel 1948, le sanzioni previste da Giuseppe Conte con il cosiddetto Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) da lui definito strumento “flessibile”, possono ritenersi costituzionalmente legittime.

La questione della libertà di spostamento

La questione è rilevante, dato che i noti limiti alla libertà di movimento dei cittadini non sono state imposti da una legge adottata con i consueti passaggi parlamentari, bensì appunto attraverso un Dpcm. Entrando nel dettaglio, c’è un articolo della Costituzione, il n° 16, il cui testo merita qui di essere riportato: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche“.

Sulla base di quanto previsto dagli autori della Carta Costituzionale, solo la legge può impedire a qualcuno di uscire di casa e non un qualsiasi altro provvedimento.

D’altra parte la Costituzione fa riferimento al sistema delle fonti del diritto, che regge e organizza tutto il complesso delle norme vigenti in Italia. In questo sistema c’è una gerarchia delle fonti, ovvero ci sono fonti sopra-ordinate e fonti sotto-ordinate ad altre. Nello specifico, una legge dello Stato è sempre sopra-ordinata rispetto ad un regolamento ministeriale e, tra i regolamenti ministeriali, sono inclusi i cosiddetti Dpcm, ovvero dei decreti ministeriali considerati “fonti normative secondarie”. Una fonte inferiore di rango (come un Dpcm) non può mai derogare o contrastare o modificare una fonte superiore (come una legge).

In altre parole e per maggior chiarezza, va rimarcato quindi che un Dpcm (anche quello che istituisce norme anti – Coronavirus e le correlate sanzioni penali) è un mero atto amministrativo che, in quanto tale, non ha valore di legge ordinaria del Parlamento. Piuttosto un Dpcm serve solitamente ad attuare e specificare norme già adottate, in un primo tempo, dal Parlamento con una legge o dal Consiglio dei Ministri con un decreto legge.

Secondo le interpretazioni tipiche dei costituzionalisti, i Dpcm emanati in più occasioni da Conte in queste ultime settimane, sarebbero quindi in contrasto con la Costituzione, in quanto si sarebbero sostituiti alla “legge” e in quanto avrebbero imposto limiti alla circolazione causa Coronavirus, che però non trovano fondamento in alcuna previa disposizione di legge o Costituzione.

La questione dell’introduzione di sanzioni penali ad hoc

Il discorso è almeno in parte diverso, in relazione alla ipotizzata “incostituzionalità” delle norme del Dpcm che prevedono sanzioni penali per i trasgressori dei divieti. Infatti, in questo caso rileva l’art. 25 Cost. per il quale nessuno può essere punito penalmente se la sanzione non è prevista da una legge entrata in vigore prima del fatto commesso.

In queste circostanze, il Dpcm non opera “autonomamente”, bensì comunque rinvia a norme del Codice Penale già esistenti che, in quanto tali, hanno forza di legge. Ne consegue che sul piano delle sanzioni il Dpcm, pur fonte secondaria, non violerebbe la Costituzione perché si richiama alla legge preesistente.

Tuttavia, ci sono ulteriori aspetti che potrebbero vanificare l’operato del Premier. Infatti, secondo i costituzionalisti, le sanzioni potrebbero essere comunque incostituzionali perché, se è vero che c’era già una norma penale preesistente, il fatto di reato (ovvero la condotta di chi esce di casa senza giustificato motivo) è comunque delineato da una norma di tipo amministrativo e non da una legge. Come detto sopra, il Dpcm è infatti un regolamento ministeriale, un mero atto amministrativo che richiama sì alle norme del Codice penale, ma prevede anche comportamenti che costituiscono reato, pur non essendo una legge. In altre parole, il Dpcm adottato per ragioni d’emergenza, avrebbe comunque travalicato i suoi limiti.

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Quali potrebbero essere le conseguenze?

In questo quadro, si è parlato di una possibile “sanatoria“, per cui le denunce perderebbero i loro effetti. Tuttavia, non potrebbe intervenire la Corte Costituzionale, dato che i giudici che la compongono valutano la mera costituzionalità delle legge e non degli atti amministrativi come un Dpcm. Piuttosto, è ipotizzabile che la persona colpita da sanzione penale, tramite il suo avvocato, si opponga alla pena disposta dal decreto. E a quel punto sarà il magistrato designato a valutare se disapplicare o meno il Decreto sulle limitazioni della libertà e le sanzioni penali.

Concludendo, è pur vero però che l’adozione dei Dpcm è stata prevista da un decreto legge, ovvero il D.L. n.6 del 2020 (relativo alla “zona rossa”). In tale provvedimento, è posta delega al Dpcm affinché siano prescelte tutte le norme e i vincoli idonei per superare l’emergenza. Peraltro, in quel decreto legge viene fatto rinvio anche ad un decreto legislativo del 1998 sulle emergenze sanitarie. Dato ciò, la scelta di Conte di usare i Dpcm sarebbe costituzionalmente legittima, avrebbe insomma un fondamento. Tuttavia, si tratta di questioni tecniche e rispetto alle quali i magistrati chiamati a decidere sulle opposizioni alle sanzioni penali, potrebbero giungere a conclusioni differenti. Non ci resta che aspettare i prossimi mesi per capire quali saranno gli esiti giudiziari in materia di norme anti-Coronavirus.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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