1822: quando facevamo di tutto per riuscire a capirci

Pubblicato il 25 Maggio 2020 alle 17:15 Autore: Nicolò Zuliani

Una considerazione che m’è venuta in mente leggiucchiando vecchi libri di Storia che da piccolo detestavo, ma che oggi hanno qualcosa da dare.

1822: quando facevamo di tutto per riuscire a capirci

Verso marzo del 196 a.C. i sacerdoti più importanti di Melfi si riunirono per celebrare l’incoronazione di Tolomeo V Epifane, un regnante giovane in un’epoca in cui a trent’anni eri anziano. L’anniversario serviva anche a celebrare con statue, feste e processioni quelli che erano considerati i meriti del regnante, ovvero restauri, riduzione delle tasse e vittorie militari. All’epoca le cose venivano incise nella pietra, e il decreto per la celebrazione fu redatto in greco, geroglifici e demotici, cioè il linguaggio popolare dell’epoca. Poi la pietra veniva fatta girare per tutti i paesi.

Oltre duemila anni dopo il mondo è cambiato parecchio.

Siamo nel 1800 e un soldato di Napoleone, tale Bouchard, mentre sta facendo demolire una casa nell’anonima cittadina di Rosetta ci trova dentro una strana lastra di basalto nera. Solo Dio sa cosa gli sia passato nella testa in quel momento, perché le scoperte epocali che poi passano alla Storia spesso accadono per caso. Invece di catalogarla come spazzatura la studia e decide che ha un qualche suo valore. La tiene. La guerra la vincono gli inglesi, però, e la stele viene fatta portare in Inghilterra dove si trova tutt’ora, al British museum.

Tutti gli studiosi del mondo capiscono l’importanza di quella stele.

Il primo che la decifra, passa alla Storia.

È una corsa contro il tempo in cui si lanciano i migliori egittologi del pianeta, piena di passi falsi e con un’ansia generalizzata che porta a fare sparate spesso errate. Alla fine, pur lavorando su una copia e non sull’originale, vincerà un linguista francese, il professor Jean Francois Champollion. Unendo greco e demotico riesce a dedurre caratteri e grammatica del linguaggio egizio per definizione: i geroglifici.

Mi ha sempre fatto riflettere come oggi che possiamo capire lingue straniere cliccando col tasto destro del mouse abbiamo trasformato la comunicazione in una partita a tennis tra scarabei stercorari, mentre nel 1822 ci facevamo venire esaurimenti nervosi per riuscire a tradurre roba scritta da cadaveri mille anni prima, e ci siamo entusiasmati quando abbiamo scoperto che era un manifesto da sagra di paese.

Forse qualità e quantità non possono stare insieme.

Forse rendere la comunicazione facile non è stata una buona idea e il futuro potrebbe vederla contrarsi, invece che espandersi. E forse non sarebbe un male.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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