Dossier: il caso Ruby

Pubblicato il 22 Febbraio 2011 alle 23:42 Autore: Francesca Petrini
caso ruby 2012

Quanto ai c.d. reati ministeriali, ovvero reati comuni, più spesso relativi ad abusi del potere esecutivo nei confronti della pubblica amministrazione, la relativa disciplina è contenuta primariamente nel disposto dell’articolo96 della Costituzione, modificato dalla legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1: se in precedenza si prevedeva che, per i reati ministeriali, il Presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri potessero essere messi in stato d’accusa dal Parlamento in seduta comune e giudicati dalla Corte costituzionale in una speciale composizione, dalla riforma summenzionata lo stesso articolo prevede che “Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale”. Inoltre, secondo l’articolo 9, comma 3 della legge costituzione richiamata, l’Assemblea (Camera o Senato) può, “a maggioranza assoluta dei suoi componenti, negare l’autorizzazione a procedere ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”. Dunque, sebbene si riconducano i membri del Governo alla giurisdizione ordinaria, la previsione che subordina ciò ad una necessaria ed insindacabile “autorizzazione a procedere” da parte della Camera di appartenenza dell’imputato, pare riconfermare quell’assetto tipico delle guarentigie del potere che, correttamente concepito nei tempi in cui si affermava lo Stato di diritto legislativo, oggi in parte stride col carattere democratico e costituzionale dell’ordinamento italiano, soprattutto se valutato in comparazione con la maggior parte dei contemporanei sistemi democratici.

La competenza funzionale

Ad ogni modo, in attuazione dell’articolo 96 della Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 1 del 1989, lo stesso testo dà vita ad uno speciale organo, comunemente detto “Tribunale dei ministri”, competente per i reati ministeriali: si tratta di un collegio speciale del Tribunale ordinario, istituito presso il Tribunale del capoluogo distrettuale della Corte d’appello competente per territorio a giudicare dell’illecito contestato, e composto di tre membri effettivi e tre supplenti, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto che abbiano da almeno cinque anni la qualifica di magistrato di Tribunale o una qualifica superiore. Si noti che, teoricamente, potrebbe anche essere sorteggiato il pm titolare dell’azione, ovvero, nel caso di specie, la tanto criticata pm Boccassini. Ciò che rileva al fine di chiarire la questione attorno al caso Ruby, così come posta dalla maggioranza di media ed esponenti politici, è anzitutto un equivoco concernente la denominazione di Tribunale dei ministri, che lascia supporre una sua funzione giudicante e che può essere risolto solo dando uno sguardo alle norme e alle procedure. Nel caso di reato ministeriale, infatti, i relativi documenti sono trasmessi al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto della Corte d’appello competente per territorio, il quale, senza compiere nessun tipo di indagine, deve entro quindici giorni trasmettere gli atti al Tribunale dei ministri e darne immediata comunicazione ai soggetti interessati, affinché possano presentare memorie o chiedere di essere ascoltati. A questo punto, ricevuti gli atti, il Tribunale dei ministri entro novanta giorni, compiute indagini preliminari e sentito il pm, può decidere l’archiviazione del caso – il decreto non è impugnabile ed il procuratore della Repubblica può solo chiedere al collegio di svolgere ulteriori indagini, precisandone i motivi – oppure la trasmissione degli atti, con una relazione motivata, al procuratore della Repubblica, affinché egli chieda l’autorizzazione a procedere ai sensi dell’articolo 5 della suddetta legge costituzionale 1/1989. Ottenuta eventualmente l’autorizzazione a procedere, il giudizio di primo grado spetta al Tribunale ordinario del capoluogo del distretto della Corte d’appello competente per territorio e, nel caso di specie, al Tribunale di Milano.

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L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
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