Quelle divisioni sul 150° dell’Unità d’Italia

Pubblicato il 10 Marzo 2011 alle 01:04 Autore: Francesca Petrini

Ad ogni modo, riflettendo sulla natura delle celebrazioni del 150° anniversario dell’unità d’Italia, non può negarsi che essa conduca a leggere, e di conseguenza a rileggere, la “nostra” storia, e quindi pure la storia di quei territori che rivendicano oggi l’indipendenza. Seppure troppo difficile appare sciogliere il nodo fondamentale del Risorgimento, ovvero se esso sia stato o meno un eroico sopruso di una minoranza, ciò che quasi con certezza si può asserire è che il mito del federalismo italiano tutto d’un pezzo, quello di Gioberti, tramontò già nel 1848 quando Pio IX, smentendo le promesse di unificazione della penisola, ritirò le sue truppe dai campi della Lombardia, dove, di fianco a Carlo Alberto, combattevano contro gli austroungarici di Radetzky contingenti napoletani, siciliani e toscani. Alla costruzione dell’Italia unita, infatti, concorse lo Stato sabaudo, che la vedeva come frutto della propria espansione, ma concorsero anche democratici e repubblicani, che la volevano repubblicana e nata da un’assemblea costituente, e vi concorsero altresì coloro i quali ritenevano necessario fortificare l’unità con un ordinamento centralizzato e quelli che, come Cattaneo, volevano invece salvaguardarne la diversità, con un ordinamento fortemente decentrato, a riconoscimento delle autonomie locali (quello che ha fatto la Costituzione quasi 100 anni più tardi). Storia è che alla fine, per consentire da un lato l’indipendenza dalle potenze straniere, e dall’altro i passaggi più essenziali della stessa unificazione, soltanto una potente volontà unitaria, cavouriana, sostenuta da uno Stato secolare e centralista come quello sabaudo è riuscita a liberare l’Italia e a farne uno Stato nazionale unitario.

Probabilmente è anche a causa di questo particolare processo di unificazione che oggi si litiga addirittura sul modo in cui celebrare il prossimo 17 marzo: l’Italia è unita da 150 anni ma si continua a discutere se, in epoca risorgimentale (ma non solo), all’Italia siano mancati gli italiani o se, al contrario, sia mancata l’Italia agli italiani. È bene allora ricordare che l’Italia è stata un’entità culturalmente riconoscibile molto prima di formarsi come entità istituzionale e politica: prima dell’Italia unita, infatti, ci sono sei secoli di storia di un popolo unito dalla lingua. Come lingua letteraria, capace di accomunare i ceti istruiti dell’intera penisola al di là delle divisioni statuali, l’italiano nacque vari secoli prima dell’Italia: esso diede origine a un patrimonio culturale che fu decisivo nel suscitare e propagare il moto di unificazione politica del XIX secolo, al punto che, senza riferimento alla lingua comune, la stessa idea di unificare il paese e di lottare per la sua indipendenza dagli occupanti stranieri forse non sarebbe mai nata. Inoltre, seppure è vero che l’unita “italietta” è stata spesso spaccata dalla contrapposizione di visioni profondamente diverse sul suo passato nonché sul suo futuro e, di fondo, non è mai riuscita a risolvere la fondamentale questione dell’unificazione economica e sociale tra Nord e Sud, rilevanti cambiamenti sono avvenuti sotto la stella della condivisione: si pensi alla nascita delle istituzioni sociali nell’era giolittiana, alla scelta dell’economia sociale di mercato in campo occidentale al tempo di de Gasperi, o ancora alla nascita delle comunità europee che in tanti hanno concorso a far vivere nella storia dell’Italia repubblicana. In definitiva, in un piccolo stivale del mondo, in un sud d’Europa fatto di mari, monti e colline, un popolo che è caduto e si è rialzato tante volte, ad un certo punto si è sentito legato da vincoli sempre più stretti e profondi, tali da farne uno Stato unitario: la Divina Commedia e il cannocchiale di Galileo, una zolfara siciliana e un salotto milanese dell’età dell’illuminismo, la resistenza sul Piave dopo Caporetto e l’emigrazione oltreoceano a metà dell’Ottocento, una “piazza d’Italia” di De Chirico e la pianta di un municipium romano.

 

 

 


Non è dunque un caso se uno dei primi atti di merito della destra storica fu quello di rendere pubblica e obbligatoria la scuola (regio decreto legislativo 13 novembre 1859, n. 3725 del regno di Sardegna – noto come legge Casati – entrato in vigore nel 1860 e successivamente esteso a tutta l’Italia che ha dato vita all’alfabetizzazione del paese).

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Francesca Petrini

Dottoranda in Teoria dello Stato e istituzioni politiche comparte, si è laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali ed ha conseguito il titolo di Master di II livello in Istituzioni parlamentari per consulenti d´Assemblea.
Tutti gli articoli di Francesca Petrini →