Germania, il voto scaccia l’austerity. O forse no

Pubblicato il 20 Maggio 2012 alle 16:38 Autore: EaST Journal

E almeno questa settimana sarà più flessibile sulle proprie posizioni, giusto per sondare gli animi? Una funzionale scaletta/vaticinio la fornisce Ricci su Repubblica di ieri: « Berlino non accetterà di rimettere in discussione il patto fiscale siglato solo due mesi fa. Non accetterà di rivedere il mandato della Bce consentendole di intervenire a finanziare direttamente il debito dei paesi dell’euro. Non accetterà gli eurobond e la conseguente partecipazione della intera Europa al debito dei singoli paesi.» Non accetterà di aumentare la dotazione del fondo salva-stati e «probabilmente non accetterà neanche che si allenti la pressione su Atene e sui partiti greci chiamati ad onorare gli impegni di Bruxelles Il perché lo ribadisce la stessa Merkel in una intervista del tardo pomeriggio: si è trattato di un voto regionale – anche se il Land tedesco è una struttura politico-amministrativa non confrontabile con una regione italiana-  e «la gente ha capito che non si trattava di me.» Per questo, pur ammettendo la sconfitta, possono non cambiare le linee più marcate e caratterizzanti del governo, nonostante già stiano suonando campane a morto per l’austerity su colonne di vari media.

Inoltre ok. Se «la gente» capisce tant mieux e «la gente» conta eccome. Tuttavia imprescindibile rimane la posizione della classe dirigente centrale e quella è ben più sfuggente e meno leggibile attraverso i voti nei Länder.
In sostanza: è inevitabile pensare che il «nuovo vento d’Europa» – per citare una espressione abbastanza abusata in questi giorni – forse adesso soffia con maggiore decisione anche sulla nazione più resistente ai guai. Però restano numerosi interrogativi. Unico aspetto sicuro e magari consolante, qualsiasi sviluppo o inversione di rotta tedesco non tarderà a farsi indubitabilmente chiaro in qualsiasi angolo di Europa. Sono i tempi ad imporre di non perdere tempo, e la nostra è signora piuttosto pragmatica.

Da EastJournal

di Gabriele Merlini

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