Sulla definizione di Leadership. Terza puntata: il PDL

Pubblicato il 25 Maggio 2012 alle 12:08 Autore: Gianluca Borrelli

Quell’afflato assolutorio verso gli elettori come se le colpe fossero tutte dei politici (ovviamente avversari) è tipico di coloro che vogliono approfittarsi della creduloneria delle masse.
Se ci sono persone che protestano perché non gli si permette più di abusare di un qualcosa di illecito (come avevano sempre fatto chiamando addirittura a volte l’abuso “diritto acquisito”), c’è sempre un politico che corre a mischiarsi con loro dicendo di condividere le loro battaglie. Qualunque esse siano, giuste o sbagliate nel merito, ci sarà sempre qualcuno che cercherà una rendita di posizione, cavalcando una protesta non appena essa si manifesta.
Questo avviene sia a destra che a sinistra. Per tutti, ma proprio tutti, i partiti e movimenti è possibile trovare un esempio in tal senso. Ovviamente ognuno individuerà gli opportunisti dell’altro schieramento ma difficilmente riuscirà a vedere quelli del proprio.
Chiarito quale sia la figura preminente (ma parleremo anche di altri), andiamo ad analizzarne il coefficiente di leadership.
Aveva o no Berlusconi il controllo del proprio partito? Pure troppo.
Era in grado di dare tutte le risposte relative al proprio programma? Eccome…
Inutile dire se avesse un impatto mediatico o meno, perché è fin troppo evidente.
Aveva una idea di futuro dove guidare l’Italia? Qui non è molto chiaro.
Ovvero ha scritto pure un libro “l’Italia che ho in mente” e bene o male la direzione da prendere, almeno all’inizio, era quella della “rivoluzione liberale” ossia di fare dell’Italia un paese con meno burocrazia e con tanti imprenditori, soprattutto individui “imprenditori di sé stessi”.
La visione non era sua ma chiaramente mutuata dal “sogno americano” ed ha fatto grande presa all’inizio della sua discesa in campo.
Col passare del tempo questa ambizione non ha mai trovato sbocchi, per vari motivi che esulano dallo scopo di questa analisi.
Trattandosi di un pragmatico e non di un uomo di stato, egli si è accontentato di gestire la sua popolarità e il proprio consenso trasformando il dibattito in una scelta di campo.
Nel paese dei Guelfi e dei Ghibellini (sempre pronti a reinventarsi Guelfi Neri e Guelfi Bianchi) questo non poteva che fare presa.
Gli italiani sono, in buona parte, per propria natura campanilistici, faziosi e fondamentalmente tifosi. Vanno a simpatie e antipatie e agiscono per partito preso come pochi popoli al mondo. Non accettano verbalmente l’idea di aver perso, lo sanno, si comportano di conseguenza, anzi dicono di essere stati sempre a favore di quella cosa che avevano avversato fino a un attimo prima.
E’ una cosa che alcune aziende soprattutto americane, che interagiscono e lavorano anche in Italia, dicono ai loro manager mettendoli in guarda sul come comportarsi con gli italiani in determinate circostanze.
Diceva Churchill (ben prima di Berlusconi) che gli italiani vanno alla guerra come a una partita di calcio e alla partita di calcio come alla guerra.
Siamo tifosi e molto spesso per niente obiettivi.
Berlusconi gli italiani li conosceva e li capiva bene, meglio di chiunque altro.
Avendo ben presto capito che era una causa persa il pensare di ammodernare il paese (perché è evidente che avrebbe voluto ottenere questo risultato, non fosse altro che per vanagloria personale, sarebbe stata una cosa di cui se ne sarebbe vantato fino all’inverosimile), come molti commentatori e analisti politici (di un po’ tutti i colori politici) hanno spiegato, ha pensato bene di usare il potere raggiunto per farsi i “santissimi fatti suoi” (cosa che avrebbe fatto una gran parte degli italiani se fosse stata al suo posto).
Quindi se l’obiettivo della rivoluzione liberale era un obiettivo nobile, il vero obiettivo era, a detta di quasi tutti gli analisti politici a questo punto, l’interesse personale.
Anni di leggi ad personam e aiuti alle proprie aziende con il parlamento “sequestrato” per mesi non potevano passare del tutto inosservati.
A tutto danno di chi la rivoluzione liberale la sognava davvero (e che per questo è ora ancora più infuriato con lui).
Era quindi un vero leader? Decisamente, senza ombra di dubbio.
Un leader egoista ed egocentrico ma anche piuttosto chiaro nei suoi programmi e nel suo modo di fare.
D’altronde, come hanno fatto notare molti arguti commentatori (tra i quali i Guzzanti), lui diceva esattamente quello che avrebbe fatto in maniera palese.
E la gente lo votava, come ha ripetuto fino allo sfinimento Gasparri per anni in tutte le trasmissioni tv, e questo lo legittimava nella sua azione.
Il sistema partito, creato intorno a Forza Italia prima e PDL poi, è il sistema partito a struttura piramidale verticistico per eccellenza, si potrebbe dire il sistema perfettamente gerarchico e verticale. Nella storia questo sistema di governo è durato per secoli ed ha avuto il nome di sistema feudale.

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L'autore: Gianluca Borrelli

Salernitano, ingegnere delle telecomunicazioni, da sempre appassionato di politica. Ha vissuto e lavorato per anni all'estero tra Irlanda e Inghilterra. Fondatore ed editore del «Termometro Politico».
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