Sì, è giusto curare anche chi non vuole vaccinarsi. Purtroppo.

Pubblicato il 29 Dicembre 2020 alle 12:59 Autore: Nicolò Zuliani

Con l’arrivo del vaccino Covid, la rete è esplosa in un tripudio di baggianate. Non che prima se ne dicessero meno, ma quelle in ambito scientifico regalano perle di bellezza assoluta. I complottisti che comprano le gabbie di Faraday per proteggere il computer dal 5G e lasciano recensioni negative perché il wifi ha smesso di funzionare; i due eroi moderni, salpati alla ricerca di Lampedusa dove la Terra finisce ma siccome è troppo lontana vanno a Ustica; le conferenze per spiegare che la Nasa è come Disneyland; non dimentichiamo la pazza “Bill Gates ci inietta il mercuriovaccino così alza la temperatura col 5G e io muoio”.

La vista dei furgoni coi vaccini scortati dai Carabinieri, però, ha messo in luce un’altra bizzarra categoria: le persone colte.

Di solito passano le giornate a decidere chi e cosa è fascista, oggi invece preferiscono inneggiare a punizioni draconiane per quelli che non vogliono vaccinarsi. Imporglielo con la forza, togliergli il diritto di voto, incarcerarli, interdire loro l’accesso a luoghi pubblici. Tutte cose estremamente democratiche che, volendo, ci dicono molto sull’identità di chi vive accusando gli altri di fascismo.

In mezzo, al solito, c’è la vasta maggioranza di persone normali che tacciono, sospirano e tirano avanti. Solo che non passano il tempo a litigare sui social, e apparentemente non esistono.

Quella che sembra una lotta tra scienza e paganesimo, però, lo è solo in apparenza.

Nei fatti – e nella demografia – si tratta del caro vecchio conflitto sociale. Un odio tra classi che nel tempo si è pervertito cambiando nomi e scudi per mantenere lo stesso meccanismo di ricchi contro poveri. La scusa del vaccino permette ai nuovi aristocratici di esprimere il loro sogno più bagnato: marchiare i plebei.

Ho detto PLEBEI

Twitter è un tripudio di uomini e donne che chiedono a gran voce braccialetti che contrassegnino chi non vuole vaccinarsi. Non c’è alcun motivo sensato: il distanziamento sociale rimarrà tale ancora a lungo, vaccino o meno. Le mascherine continueremo a portarle, locali pubblici e privati continueranno ad avere la capienza dimezzata. Quindi perché imprimere sui plebei il marchio dell’infamia? Probabilmente per lo stesso motivo per il quale si vorrebbe impedire che questi idioti abbiano accesso alla sanità pubblica.

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Su carta è un ragionamento giusto: se non ti vaccini, perché dovrei curarti?

Bè, perché la sanità pubblica non è classista e non giudica le scelte delle persone. Perché questo ragionamento apparentemente coerente funziona con lo stesso cavallo di Troia della meritocrazia. Basta ampliarlo per vedere a cosa porta: all’improvviso serve un tribunale per decidere se qualcuno può avere accesso alle cure. Un ragazzo che ha fatto un incidente e s’è distrutto il fegato, ha diritto a un trapianto? Non lo so, bisogna vedere la sua bacheca Facebook, cos’ha fatto quella sera, chi sono i suoi amici e soprattutto se se l’è cercata. Perché basta scavare un po’ e sì, tutti se la cercano.

L’ignoranza non è una scusa, ma a volte non è nemmeno una colpa

La beneficienza, la sanità, la solidarietà, l’altruismo selettivo hanno un altro nome: favoritismo. C’è differenza tra aiutare con i bagagli una vecchia o una bella donna. Io pago pressoché metà del mio stipendio proprio perché una vita è una vita, anche se è un cafone di provincia con la terza media che crede al mercurio in vena o altri deliri. Se non si vuole vaccinare, purtroppo non lo posso obbligare. E per essere coerente con i principi su cui il mio Stato si fonda, se si ammala voglio venga curato con le mie tasse.

Mi rode? Eccome.
Ma l’alternativa è peggio.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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