5 (s)punti dalle elezioni in Abruzzo: Salvini rischia. Il campo larghissimo non funziona

Pubblicato il 12 Marzo 2024 alle 13:21 Autore: Alessandro Faggiano
5 (s)punti dalle elezioni in Abruzzo: Salvini rischia. Il campo larghissimo non funziona

5 (s)punti dalle elezioni in Abruzzo: Salvini rischia. Il campo larghissimo non funziona

Nessun effetto Sardegna in Abruzzo: la scorsa domenica, 10 marzo, la destra ha vinto con un buon margine.

Il presidente uscente dell’Abruzzo e in quota FDI, Marco Marsilio, ha vinto con il 53,50% dei consensi. Lo sfidante Luciano D’Amico, si è invece fermato al 46,50% e fa registrare un passo indietro per le ambizioni di quello che è stato definito “campo larghissimo”, includente anche Azione e Italia Viva oltre ai due principali partiti d’opposizione, PD e M5S.

Ecco cinque spunti – da sviscerare – su questa vittoria del centrodestra in Abruzzo

  1. Il dato politico: il centrodestra rimane il blocco forte e vera maggioranza del Paese
  2. Il dato elettorale: il campo larghissimo non funziona come il campo largo (che comunque non funziona benissimo)
  3. Chi vince e chi perde: Salvini è a rischio e la sfida elettorale più interessante riguarderà Lega e Forza Italia
  4. La chiave di comunicazione: il “caso dossieraggio” è stata una vittoria della destra
  5. Lo scenario: Forza Italia può diventare il nuovo riferimento per la destra liberale

1. Il centrodestra rimane il blocco forte e vera maggioranza del Paese

Se qualcuno stesse nutrendo qualche dubbio, le elezioni regionali in Abruzzo hanno confermato che il vento in Italia spira fortemente a destra. Il caso della Sardegna ha mostrato come il centrodestra non sia imbattibile ma sempre a patto che 1. la coalizione guidata da Meloni giochi una brutta, bruttissima partita (elettorale) e 2. si costruisca una narrazione coerente e omogenea da parte del blocco d’opposizione. A conti fatti, più che vittoria del campo largo, in Sardegna è stata la sconfitta del centrodestra. A distanza di due settimane dal voto sardo che ha ri-lanciato le ambizioni dei progressisti, la destra ha reagito immediatamente con una campagna mesta e volta a disinnescare ogni anelito di rimonta e suggestione di rovesciamenti dal livello regionale a quello nazionale. In questo, tutti e tre i partiti della coalizione hanno giocato d’anticipo e, subito dopo la sorprendente sconfitta in Sardegna, hanno minimizzato l’impatto del risultato. Nel giro di pochi giorni, l’eco delle elezioni in Sardegna si è affievolito, grazie sia all’incapacità di PD e M5S di capitalizzare una “buona mano”, sia per l’abilità della coalizione di Governo nel volgere il focus al caso dossieraggio. Ma questo, è un altro punto. Il primo dato, e certamente quello meno sindacabile, è che dopo un anno e mezzo di governo la destra ha perso pochissimi colpi, grazie sia a meriti propri che, in buona parte, a demeriti altrui.

2. Il campo larghissimo non funziona come il campo largo (che comunque non funziona benissimo)

Perché proprio il “campo largo” e il “campo larghissimo” non sembrano, per ora, delle risposte accettabili e sufficienti per rovesciare il tavolo. In Sardegna si è vista una coalizione, quella composta da Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, che ha dato segnali di vita. La leadership di Conte e Schlein ha sicuramente aiutato l’avvicinamento dei due principali partiti d’opposizione. L’elettorato è decisamente più affine e un’alleanza programmatica e strutturata non sembra più una boutade. Conte e Schlein condividono palchi e, soprattutto, manifestazioni, mostrando vicinanza su una moltitudine di temi. Il messaggio di fondo che viene trasmesso da democratici e pentastellati può essere percepito come coerente: entrambi parlano di salario minimo, entrambi sono vicini – almeno nella dissertazione – ai lavoratori e alle persone in difficoltà. Si gioca sul comune campo della solidarietà e del sociale. Quando a questi, però, si aggiunge l’esperienza decisamente più liberal di Calenda e Renzi (Azione + Italia Viva), ecco che l’organicità della proposta viene meno. Includere dei partiti – specialmente Italia Viva, una versione smart di Forza Italia – che non condividano il core di valori e proposte chiave, può diventare altamente controproducente. In politica, non è la somma a fare il totale: il valore di una coalizione è il prodotto della forza di ogni singola componente unita alla capacità di amalgama e condivisione di un orizzonte comune. Se PD e Movimento 5 Stelle guardano, bene o male, nella stessa direzione, Azione e Italia Viva volgono lo sguardo altrove. In questi casi, la coalizione perde di coerenza e viene interpretata come un cartello elettorale volto a vincere. Una macchia pesantissima che penalizza sia le singole componenti della coalizione sia la coalizione stessa.

3. Salvini è a rischio e la sfida elettorale più interessante riguarderà Lega e Forza Italia

Se tra i partiti sconfitti, c’è il Partito Democratico che, almeno, salva la faccia (passando dall’11 al 20% nel giro di 5 anni) e condanna il M5S alla marginalità (da quasi il 20% è sceso fino a poco meno del 7%), all’interno della coalizione vincitrice c’è il vero sconfitto di giornata. Parliamo della Lega, che ha visto un tracollo dei consensi, dal 27,53% (primo partito in Abruzzo per distacco) fino al 7,60% di domenica. Un calo di 20 punti e che, soprattutto, relega la Lega a terzo partito della coalizione, praticamente doppiato da Forza Italia, che passa dal 9% al 13,35% nel giro di 5 anni. Un risultato sorprendente per i forzisti che trovano la loro prima grande performance elettorale dopo la dipartita del padrino del centrodestra. Senza Silvio Berlusconi, Forza Italia sembrava destinata ad essere fagocitata da altre forze più in forma. Eppure, le cose sembrano poter andare diversamente. Chi, attualmente, rischia grosso, è Matteo Salvini. Il segretario del Carroccio sta inanellando una serie di risultati pessimi e le prossime elezioni europee potrebbero rappresentare il vero spartiacque e momento decisivo. Salvini ha portato la Lega in alto, altissimo, risultando il politico più importante e influente del “biennio giallo-verde”. Da allora, però, una lunga serie di scelte sfortunate e giravolte hanno condannato il segretario della Lega a una posizione sempre più marginale e di scarsa credibilità. E all’interno del partito ci sono possibili segretari di razza, in primis il presidente del Veneto, Luca Zaia, e il presidente del Friuli, Massimiliano Fedriga.

il “caso dossieraggio” è stata una vittoria della destra

Uno degli elementi chiave della vittoria della destra in Abruzzo è stata la capacità di disinnescare l’onda lunga proveniente dalla Sardegna. In questo, il caso dossieraggio ha aiutato, e non poco, la triade governativa. L’allineamento della destra sul tema – lanciato dalla Lega – è stato pressoché totale, rimettendo al centro del dibattito pubblico la questione della giustizia, la persecuzione politica (con l’eco che va alle toghe rosse) e la privacy e libertà dei cittadini. Un tema che è stato trattato in tutte le salse su tutti i canali e tutti i giornali e ha deviato, in modo repentino, l’interesse e il focus dell’arena pubblica. La deviazione è stata estremamente efficiente anche per via del seguito offerto dagli altri partiti politici, che si sono espressi sull’argomento. La destra – e la Lega in particolare – fa passare il messaggio del martirio, dove la giustizia si accanisce per questioni ideologiche. E così si riattiva, in parte, l’elettorato adagiato, quello che dà la vittoria per scontato.

5. Forza Italia può diventare il nuovo riferimento per la destra liberale grazie alla spersonalizzazione del partito

Giungiamo all’ultimo punto, quello legato ad uno scenario particolare e al focus su un partito. Parliamo di Forza Italia che, orfana di Silvio Berlusconi dal 12 giugno dello scorso anno, si ritrova a celebrare, sorprendentemente, un risultato di tutto rispetto alle elezioni in Abruzzo. Lo fa, tra l’altro, doppiando (o quasi) l’attuale seconda forza politica della coalizione, la Lega. L’impressione è che, dopo un ovvio periodo di crisi interna (e interiore), Forza Italia si stia costituendo come un vero e proprio partito. Forza Italia, nato come partito personalistico (il primo della seconda Repubblica), è sempre stato identificato, né più né meno, con il Cavaliere. La dipartita del padrino del centrodestra ha costretto i forzisti a riorganizzarsi e a darsi una struttura diversa, più collegiale e senza personalismi eccessivi. In un periodo in cui i partiti vanno incontro, sempre più spesso, a una iper-identificazione con il proprio leader (si veda Salvini con la Lega, Calenda con Azione e il partito iper-personalistico per eccellenza degli ultimi anni, Italia Viva di Matteo Renzi), nel caso di FI si va verso il processo inverso. Volente o nolente, si tratta di una novità che guarda al passato. Se si dovessero confermare questi risultati anche in altre elezioni, Forza Italia potrebbe infierire un colpo mortale alla stessa Italia Viva (che opera nel campo di gioco di Forza Italia, pur mantenendosi al di fuori della coalizione di centrodestra) e riprendersi un ruolo di maggior prestigio e rilevanza nella dinamica governativa.

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L'autore: Alessandro Faggiano

Caporedattore di Termometro Sportivo e Termometro Quotidiano. Analista politico e politologo. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi di Salerno e con un master in analisi politica conseguito presso l'Universidad Complutense de Madrid (UCM).
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