Licenziamento per mail: valido o nullo? La sentenza 2025 del tribunale di Pavia fa chiarezza

Pubblicato il 16 Ottobre 2025 alle 13:00 Autore: Daniele Sforza
licenziamento via e-mail
Seguici su Telegram!

Licenziamento per mail: quando è nullo e il lavoratore può tornare in azienda.

Un messaggio di posta elettronica non basta per chiudere un rapporto di lavoro. Lo ha stabilito il tribunale di Pavia con la sentenza n. 469 del 9 settembre 2025, che riporta al centro dell’attenzione un tema cruciale nell’era del digitale: la validità delle comunicazioni elettroniche tra datore e dipendente. Un licenziamento, anche se motivato e comprensibile nelle ragioni economiche, può essere dichiarato inefficace se non rispetta la forma scritta prevista dalla legge. E, in questi casi, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione o al risarcimento integrale.

Il caso riguarda un operaio assunto a tempo indeterminato e licenziato per giustificato motivo oggettivo a causa della liquidazione della società. L’azienda, in difficoltà economica, aveva inviato la comunicazione di recesso via e-mail, senza firma e a un indirizzo non concordato. Il tribunale ha accolto il ricorso del dipendente, chiarendo che la modalità scelta non soddisfa i requisiti di validità richiesti dalla normativa vigente.

Licenziamento via e-mail non valido: la forma scritta come garanzia di certezza

Secondo la legge n. 604 del 1966, ogni licenziamento deve essere comunicato in forma scritta, pena la nullità dell’atto. È una norma semplice ma fondamentale, che tutela entrambe le parti: da un lato garantisce al lavoratore la possibilità di conoscere con certezza la decisione, dall’altro consente all’azienda di dimostrare in modo inequivocabile le ragioni del recesso.

Il giudice pavese ha ricordato che il licenziamento è un atto unilaterale e “ricettizio”, cioè produce effetti solo quando il lavoratore ne viene a conoscenza. Tuttavia, perché sia valido, la comunicazione deve recare una firma che attesti la paternità dell’atto e deve essere trasmessa attraverso un canale che offra prova certa della ricezione. L’invio di una semplice e-mail a un indirizzo generico o non riconducibile al dipendente non soddisfa questi criteri.

L’uso di strumenti digitali non è di per sé vietato: la giurisprudenza ammette la possibilità di utilizzare la posta elettronica certificata (PEC), che garantisce la tracciabilità e la firma elettronica qualificata. Diverso è il caso delle e-mail ordinarie, prive di autenticazione, dove manca la certezza sulla provenienza e sul momento di ricezione. In assenza di queste garanzie, il licenziamento si considera come mai avvenuto, con tutte le conseguenze del caso.

La decisione e le sue conseguenze

Nel caso esaminato, il tribunale ha dichiarato nullo il licenziamento via e-mail, equiparandolo a un recesso orale. La mancanza di firma e la trasmissione a un indirizzo non concordato hanno reso inefficace la comunicazione. Il lavoratore ha così ottenuto la tutela reintegratoria piena prevista dal decreto legislativo 23/2015: ritorno sul posto di lavoro, risarcimento pari alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino alla reintegra e versamento dei contributi previdenziali non versati.

Il dipendente, in alternativa, ha potuto optare per l’indennità sostitutiva della reintegra, prevista dalla legge in questi casi, con la conseguente risoluzione definitiva del rapporto di lavoro. Il messaggio del giudice è chiaro: la forma scritta non è una formalità burocratica, ma una condizione sostanziale di validità.

Licenziamento: come cambia con le nuove tecnologie

La sentenza pavese si inserisce in una cornice più ampia di decisioni che affrontano il delicato equilibrio tra innovazione tecnologica e garanzie giuridiche. La Cassazione, in diverse pronunce, ha ritenuto valido il licenziamento comunicato tramite strumenti elettronici solo se è possibile dimostrarne la provenienza e la ricezione. È il caso, ad esempio, delle e-mail firmate digitalmente o dei messaggi PEC.

Diversa la posizione per i messaggi WhatsApp, sms o e-mail semplici: alcuni tribunali li hanno considerati idonei a dimostrare la volontà di licenziare solo quando il lavoratore, con le sue azioni successive, ne ha riconosciuto l’esistenza, ad esempio impugnandoli o rispondendo al messaggio. Ma restano eccezioni legate a circostanze specifiche. La regola generale continua a essere quella della comunicazione formale, firmata e tracciabile.

L'autore: Daniele Sforza

Romano, classe 1985. Dal 2006 scrivo per riviste, per poi orientarmi sulla redazione di testi pubblicitari per siti aziendali. Quindi lavoro come redattore SEO per alcune testate online, specializzandomi in temi quali lavoro, previdenza e attualità.
Tutti gli articoli di Daniele Sforza →