I mercati siamo noi? Una risposta a Pietro Ichino
Per tornare alla questione della crisi del debito, non è il debito in quanto tale a fare la differenza. Basta citare il caso del Giappone, dove un debito superiore al 200% del PIL risulta sostenibile. Sono gli interessi elevati da pagare sul debito che lo portano su una traiettoria potenzialmente esplosiva. Questo è successo negli anni ’80 e rischia di succedere ora. Questo avviene perché alla mano pubblica sono stati scientemente sottratti tutti gli strumenti per intervenire e calmierare questi interessi. Perché si riteneva che il fatto che lo Stato fosse sottoposto al giudizio dei mercati fosse cosa giusta e benefica. Anche questo va ricordato, è una decisione politica che ci ha portato a questa condizione, non una condizione naturale e inevitabile. Così come non è un fato ineluttabile il potere dei fondi pensione. E’ una decisione politica quella di mettere le persone nella condizione di doversi fare una pensione privata.
Certo, lo Stato e la politica hanno talvolta mostrato di non saper svolgere il loro ruolo nella maniera migliore. Ma, concettualmente, rimane il fatto che in un sistema democratico, pur con tutti i suoi difetti, tutto può essere sottoposto a discussione pubblica e il cittadino insoddisfatto può, oltre che a votare, contando come tutti gli altri, impegnarsi in politica per cercare di cambiare le cose.
Invece dare il potere di ultima istanza ai mercati finanziari significa lasciare determinare il nostro destino a un mondo dove il principio che vale è: un dollaro un voto. Non era esattamente questo il sogno di emancipazione della modernità.