Chi tocca la RAI muore

Pubblicato il 7 Luglio 2012 alle 20:36 Autore: Matteo Patané

Il 12 giugno 2012, infatti, il senatore Viespoli di CN scriveva al Presidente del Senato Schifani e a quello della Camera Fini sottolineando come, per il principio del pluralismo, anche il gruppo CN dovesse avere un rappresentante in Commissione di Vigilanza RAI; per ragioni di quote, tale rappresentante sarebbe dovuto entrare in sostituzione di un membro del PdL. La lettera è rimasta ignorata per circa un mese, ma improvvisamente, il tre di luglio, il Presidente del Senato Schifani contattava il capogruppo PdL Gasparri per invitarlo a segnalare il nome del senatore PdL che avrebbe lasciato la Commissione di Vigilanza. Viene fatto il nome di Amato, che lascia quindi la Commissione per essere sostituito dallo stesso Viespoli.

Nel corso dell’ultima votazione, del 5 luglio, si arrivava quindi all’elezione del cda, un’elezione a questo punto senza alcuna conseguenza nefasta per il PdL, che vedeva in salvo la propria maggioranza nel cda RAI.

È naturalmente montata la polemica intorno alla decisione di Schifani di procedere alla sostituzione di Amato, polemica alimentata dal Presidente della Camera Gianfranco Fini e che ha portato ad uno scontro istituzionale tra le due cariche dello Stato.
Se da un lato è vero che era stato lo stesso Fini a sollecitare una sostituzione urgente di Amato, è innegabile che la tempistica dell’operazione, per quanto ampiamente nei poteri del Presidente del Senato, suoni quantomeno sospetta, ed evidenzia le vaste differenze tra centrodestra e centrosinistra in tema di RAI.

Da un lato infatti l’Italia dei Valori ha deciso di non presentare propri candidati per sfuggire alla logica spartitoria del cda RAI, mentre il Partito Democratico ha deciso di consultare associazioni della società civile e sostenere i nominativi da esse scelti. Si può ragionare sull’opportunità e sull’etica delle due scelte effettuate dai due partiti dell’ala progressista, ma non sfugge la differenza che in entrambi i casi divide simili atteggiamenti da quello del duo PdL-Lega.
Oltre ad aver proposto e sostenuto nomi frutto di mera scelta politica, infatti, il PdL ha persino fatto chiamare in causa una carica in teoria super partes per blindare un risultato che rischiava di essere in bilico fino all’ultimo.

Un atteggiamento che sicuramente non giova all’immagine del partito in un periodo di massima attenzione al tema della trasparenza, ma ciò che fa veramente riflettere è la decisione e la rapidità con cui la formazione ha messo in campo la propria strategia, incurante delle conseguenze a livello di immagine.
Quando i temi toccati sono così scottanti per le vicende personali e aziendali del Cavaliere il PdL rivela ancora una volta il ferreo controllo che Berlusconi possiede ancora sul suo partito, calando la maschera moderata che il segretariato di Alfano ed il sostegno al Governo Monti tentano di mettergli. Berlusconi è ancora il dominus del PdL, il quale è a sua volta pronto a votare o bloccare qualsiasi provvedimento che dovesse rispettivamente piacere o dispiacere all’ex-Presidente del Consiglio.
Chi tocca la RAI muore. Era vero con Berlusconi al Governo, è vero ancora oggi.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
Tutti gli articoli di Matteo Patané →